
Questa settimana in tutta Italia è iniziato il nuovo anno scolastico e tutti gli studenti di ogni ordine e grado, dalle Alpi a Lampedusa sono in classe. Di solito l’inizio dell’anno è caratterizzato dalle polemiche sulla mancanza dei docenti, sull’inadeguatezza degli edifici scolastici, sulla mancanza di alcuni servizi e sul caro libri.
Quest’anno, l’attenzione dell’opinione pubblica riguardo al sistema scolastico, è focalizzata sull’emanazione di direttive relative al dress code a scuola. Sono stati infatti vietati outfit “impropri” all’ambiente scolastico: quindi niente shorts e canottiere, gonne corte, jeans tagliuzzati, pance scoperte e biancheria intima a vista, o unghie troppo lunghe. In classe niente cappello o cappuccio della felpa in testa. L’obiettivo sembra univoco: definire divieti agli alunni, con l’invito ad “adottare un abbigliamento sobrio, decoroso, pulito e ordinato”.
Se il sondaggio di Skuola.net effettuato su un campione di quasi tremila studenti è veritiero della popolazione scolastica, circa 3 studenti su 10 dovrà fare attenzione a come vestirsi per andare a scuola, per non incorrere in richiami o, nei casi più gravi e ripetuti in sanzioni disciplinari, mentre ben il 55 per cento dovrà presentarsi a scuola in modo “adeguato” al contesto. Solo 1 studente su 5 dimostra di adottare un abbigliamento consono al contesto scolastico che le circolari emanate immaginano.
Ovviamente ci si riferisce alla scuola pubblica, perché nei contesti del sistema scolastico privato, molto spesso viene adottata una divisa, che può essere una semplice polo o t-shirt con il logo della scuola, alle più formali divise con giacca a cravatta, in piena adesione e conformità al modello inglese.
Siamo di fronte al classico dilemma, di carattere generale che attanaglia la scuola pubblica italiana da decenni, ossia la libertà di (insegnamento, dire, fare, manifestare, occupare, vestirsi come si ritiene e non come è opportuno) vs libertà da (da insegnamenti politicizzati, rispetto delle strutture, dibattito aperto ma rispettoso degli altri, vestirsi senza imporre la visione della pelle che non prende mai il sole ai propri compagni ed insegnanti). Una roba liberale insomma.
Sicuramente l’adozione di regole disciplinari volte ad arginare dei fenomeni ormai diventati evidente sintomo di tutto il malessere degenerativo del sistema scolastico pubblico è ritenuto il primo passo verso una direzione, si spera, che voglia riportare gli studenti in un alveo migliore di quello in cui sono adesso, risultando la stragrande maggioranza di essi, ben al di sotto delle medie europee, in termini di capacità di lettura e comprensione dei testi, di risultati di tutte le forme di misurazione internazionale, a fronte, paradossalmente a votazioni estremamente generose, soprattutto nelle zone in cui test come gli Invalsi, ad esempio, mostrano i risultati più impietosi.
A questo punto ci si potrebbe chiedere cosa c’entri l’abbigliamento con il risultato ed il rendimento scolastico e la libertà. È presto dimostrato. Le neuroscienze ci insegnano che per modificare comportamenti, valori ed identità, quindi per consentire agli individui cambiamenti o miglioramenti duraturi, il primo elemento su cui incidere è l’ambiente, e nell’ambito di detto elemento, sicuramente una uniformità di comunicazione non verbale, dettata dall’abbigliamento, consente una modifica della percezione individuale. Se io vivo in un contesto dove sono tutti sciatti, vestono male e curano poco la persona, ne trarrò un’idea generale di sciatteria a cui conseguirà un’adesione con un comportamento sciatto. Se vivo in un contesto in cui c’è la cura di se stessi come espressione di se stessi e rispetto per gli altri, adotterò poi conseguentemente anche un comportamento consono, per non sfociare in una crisi di identità. L’esempio classico è il contesto religioso, entrare in chiesa comporta adeguarsi a certe regole, e chi non vuole rispettarle, semplicemente non entra, perché qualcosa di diverso sarebbe rifiutato dalle altre persone che riconoscono il luogo come legato a dei codici comportamentali ben definiti e non superabili. In termini di libertà, tutti hanno il diritto di rimanere indenni dalla visione di lembi di pelle che sono privati ed intimi, ed è giusto e riconosciuto che rimangano tali. Con buona pace di chi pensa di essere liberale esercitando la libertà di (vestirsi come ritiene opportuno) rispetto alla libertà dalla volgarità o scambio dell’aula per la propria cameretta.
L’adozione di queste nuove regole, appare dunque un primo passo, un piccolo argine ad un malcostume dilagante, ma sappiamo bene che solo con piccoli cambiamenti si ottengono grandi e duraturi risultati. I ragazzi non lo sanno, lo devono scoprire, ma gli adulti hanno il dovere di mostrare loro la via del continuo miglioramento personale, altrimenti la scuola diventa solo dispensatrice di contenuti, che i risultati dimostrano, sia attività estremamente fallimentare nel nostro Paese.
I motivi di questo disastro sono tanti e ci sarà occasione di approfondirli nei prossimi Taccuini, ma intanto iniziamo ad andare a scuola vestiti decentemente, se lo merita ogni studente, se lo merita ogni classe.
Buon anno scolastico a tutta la popolazione studentesca, ai docenti ed alle famiglie.
(*) Leggi il Taccuino liberale #1, #2, #3, #4, #5, #6, #7, #8, #9, #10, #11, #12, #13, #14, #15, #16, #17, #18, #19, #20, #21, #22, #23, #24, #25, #26, #27, #28, #29, #30, #31, #32, #33, #34, #35, #36, #37, #38, #39, #40, #41, #42, #43, #44, #45, #46, #47, #48, #49, #50, #51, #52, #53, #54, #55
Aggiornato il 19 settembre 2025 alle ore 13:49