Taccuino Liberale #41

È venuto a mancare qualche giorno fa Ivanhoe Lo Bello, imprenditore siciliano, ex dirigente Confindustria e non da ultimo docente della Scuola di Liberalismo che aveva inaugurato a Messina nell’edizione del 2013.

Avevo conosciuto Ivan negli Stati Uniti, e non Italia, mentre entrambi eravamo lì per studiare a metà anni ‘80.

Quando gli proposi dopo quasi due decenni che non ci vedevamo, di venire ad inaugurare la Scuola a Messina, aderì con un entusiasmo incredibile e aiutò la promozione della scuola come poté. Era profondamente convinto che l’innalzamento del livello culturale medio, fosse elemento indefettibile per il miglioramento del Paese, dell’economia e della società.

Condividevamo l’idea che le passate generazioni di emigrati italiani, avevano nel cuore l’Italia che avevano lasciato, inducendoli a riversare parte dei loro guadagni americani, australiani o sudamericani nei loro luoghi di origine, avendo il sogno, un giorno, di rientrare e godersi gli ultimi tempi nei loro borghi natii. Con ciò avevano contribuito significativamente al miglioramento di piccoli paesi, a riportare know-how.

Con il susseguirsi delle generazioni, gli italiani, spesso emigrati all’estero sia per studio che per lavoro, il sogno di rientrare era sparito, e la vocazione era di andare via con la consapevolezza di non voler tornare indietro. Anche io e lui avevamo avuto l’opportunità di studiare all’estero, ma erano esperienze finalizzate a fare meglio in Italia. Ad acquisire competenze migliori, una mentalità ed una visione meno provinciale e ristretta che l’ambito nazionale ci avrebbe riservato se non ci fossimo spinti oltre confine, ma non abbiamo mai messo in discussione la nostra vita ed il nostro impegno in patria, mentre i nostri figli, e l’intera loro generazione, una volta all’estero, ci era ben evidente, non sarebbe tornata indietro.

Ne parlammo a lungo, rendendoci conto che non era un fenomeno solo del sud Italia, e che ci avrebbe portato solo impoverimento culturale, economico e sociale. Come arginare eventualmente questo fenomeno, questa emorragia di capitale umano importante, e come organizzare quello rimasto, era un suo pensiero, una sua preoccupazione e che ogni persona di buon senso può porsi, a maggior ragione se sospinto da un forte ideale liberale, convinto che ricette collettiviste efficaci non esistono, e che solo gli individui possono, con le loro azioni portare al successo. Ne derivava che ogni azione volta a produrre un effetto sui singoli fosse ritenuta migliore di politiche sociali che spesso sono più utili come stipendifici per chi le implementa che come motore di cambiamento personale.

Per questo l’attenzione dovrebbe andare sempre alle persone, e più che promuovere bonus e mancette di Stato, sarebbe importante realizzare un ambiente favorevole all’impresa personale, all’autorealizzazione individuale.

In quest’ottica, la visione strategica del paese nel lungo periodo diventa fondamentale per capire come consentire agli individui di concorrere alla realizzazione di quel benessere collettivo (somma dei benesseri individuali) diventa fondamentale.

Il metodo liberale dovrebbe servire a questo, a creare quella visione che consenta agli individui di auto realizzarsi, di essere felici, senza che lo Stato decida al posto loro.

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Aggiornato il 30 maggio 2025 alle ore 12:18