Argentina, le catene spezzate

Il Paese sudamericano si rialza con Milei: quando la libertà diventa il vero motore della rinascita.

A quasi due anni dal suo insediamento, l’esperimento argentino di Javier Milei è tornato al centro del dibattito internazionale. Il magazine statunitense Free Society del Cato Institute di Washington ‒ uno dei principali centri di ricerca dedicati alla libertà individuale e al libero mercato ‒ gli ha dedicato la copertina del numero autunnale 2025, con il saggio Liberty versus Power in Milei’s Argentina di Ian Vásquez e Marcos Falcone. Lo studio, corredato da dati e analisi puntuali, racconta la parabola di un Paese che, sull’orlo del collasso, ha scelto di liberarsi dalle catene del dirigismo e di restituire spazio alla società. È il ritratto di un laboratorio politico che oggi divide, ma che molti osservano come segno di una riscossa possibile.

Quando, da leader di La Libertad Avanza è entrato alla Casa Rosada il 10 dicembre 2023, ha promesso di “riportare l’Argentina alle sue radici di libertà”. Pochi gli hanno creduti. Eppure, meno di due anni dopo, i numeri parlano da soli: inflazione scesa dal 289 al 34 per cento, debito pubblico in calo del 12 per cento, bilancio in pareggio, oltre 53 mila funzionari licenziati e più di 1.200 regolamentazioni abolite.

Con la sua motosierra, simbolo di rigore, il presidente argentino ha tagliato la spesa del 30 per cento, ponendo fine a ottant’anni di statalismo e populismo. “Preferisco dirvi una verità scomoda piuttosto che una menzogna confortevole”, dichiarò nel suo primo discorso: non la promessa dell’assistenzialismo, ma la sfida della responsabilità personale.

La disamina dei due studiosi americani sottolinea che questa svolta non è frutto di un miracolo, bensì del ritorno ai principi elementari della libertà economica: spesa pubblica ridotta, moneta stabilizzata, potere politico limitato. La liberalizzazione delle importazioni ha abbassato i prezzi dei beni di consumo ‒ gli elettrodomestici sono scesi in media del 35 per cento ‒ e rilanciato la concorrenza; l’agricoltura, liberata da dazi e vincoli, è tornata a produrre valore reale; la riforma del monotributo ha restituito dignità a milioni di autonomi, mentre l’abolizione del controllo degli affitti ha triplicato l’offerta e ridotto i canoni del 30 per cento. È la dimostrazione empirica di un principio antico: quando lo Stato arretra, la società prospera.

Il miglioramento percepito nella vita quotidiana ‒ prezzi più accessibili, nuovi investimenti, maggiori opportunità per chi lavora e produce ‒ ha rafforzato la fiducia collettiva, trasformando i risultati economici in consenso politico. Proprio su questa ritrovata credibilità si innesta la seconda fase del progetto di Milei, destinata a consolidare e ampliare le riforme. La netta affermazione di La Libertad Avanza alle elezioni di metà mandato del 26 ottobre 2025 ha confermato il mandato riformatore e sancito il successo di una politica economica fondata sulla disciplina e sull’iniziativa privata.

La cosiddetta “fase due” prevede la semplificazione fiscale, la riforma del mercato del lavoro e la progressiva liberalizzazione del cambio. Il nuovo accordo con il Fondo Monetario Internazionale e la graduale rimozione dei controlli sui capitali aprono la strada alla dollarizzazione e alla chiusura della Banca centrale, simbolo dell’instabilità monetaria che per decenni ha impoverito il Paese. Parallelamente, Milei ha rinnovato la squadra di governo, scegliendo ministri più pragmatici e aprendo un dialogo con le forze centriste e i governatori provinciali per dare continuità alle riforme.

Non sono mancate e non mancano ovviamente le difficoltà: l’austerità, seppur necessaria, ha frenato i redditi reali e acceso proteste sindacali. Il premier argentino, tuttavia, ha ribadito che: “La prosperità non si redistribuisce, si crea” e che la povertà non si combatte con i sussidi, ma con la libertà di produrre, risparmiare e investire. La sua convinzione ‒ come osservano gli analisti di Washington ‒ è che la giustizia sociale promessa dallo Stato sia in realtà una forma di dominio, e che solo la libertà economica restituisca dignità. È una battaglia culturale prima che politica, radicata nella lezione di Alberto Benegas Lynch Jr., il quale insegnava che “il liberalismo è il rispetto incondizionato del progetto di vita altrui, fondato sulla difesa della vita, della libertà e della proprietà privata”.

La prospettiva che emerge dal citato saggio pubblicato Cato Institute è chiara: l’Argentina non sta solo aggiustando i conti, ma riscoprendo l’individuo come fondamento della comunità. In questo, Milei riannoda il filo interrotto della Costituzione del 1853 di Juan Bautista Alberdi, che aveva reso il Paese tra i più prosperi del mondo, prima che il peronismo lo imprigionasse nel corporativismo. Il simbolo della nuova Argentina tenta oggi ciò che nessuno aveva osato: demolire il Leviatano per restituire all’individuo la sovranità morale ed economica.

Come ha ricordato Ludwig von Mises, durante la sua visita a Buenos Aires nel 1959: “Ogni Paese può vivere il miracolo della ripresa economica… non per miracolo, ma per l’adozione di sane politiche economiche”. E l’Argentina di oggi sembra incarnare quella lezione. Non è ancora libera, ha tuttavia spezzato la sua catena più antica: l’idea che il benessere nasca dallo Stato. Da qui il cammino è tracciato: ridurre il potere politico, tutelare la proprietà, restituire spazio alla società e lasciare che la responsabilità individuale torni a guidare la crescita.

È la prova che, quando la libertà sostituisce il potere, la società non solo prospera, ma si rialza. E quella catena spezzata, oggi visibile sulla sponda del Río de la Plata, diventa il simbolo di un’umanità che può ancora scegliere la responsabilità al posto della sottomissione.

Aggiornato il 05 novembre 2025 alle ore 10:04