mercoledì 5 novembre 2025
Il Paese sudamericano si rialza con Milei: quando la libertà diventa il vero motore della rinascita.
A quasi due anni dal suo insediamento, l’esperimento argentino di Javier Milei è tornato al centro del dibattito internazionale. Il magazine statunitense Free Society del Cato Institute di Washington ‒ uno dei principali centri di ricerca dedicati alla libertà individuale e al libero mercato ‒ gli ha dedicato la copertina del numero autunnale 2025, con il saggio Liberty versus Power in Milei’s Argentina di Ian Vásquez e Marcos Falcone. Lo studio, corredato da dati e analisi puntuali, racconta la parabola di un Paese che, sull’orlo del collasso, ha scelto di liberarsi dalle catene del dirigismo e di restituire spazio alla società. È il ritratto di un laboratorio politico che oggi divide, ma che molti osservano come segno di una riscossa possibile.
Quando, da leader di La Libertad Avanza è entrato alla Casa Rosada il 10 dicembre 2023, ha promesso di “riportare l’Argentina alle sue radici di libertà”. Pochi gli hanno creduti. Eppure, meno di due anni dopo, i numeri parlano da soli: inflazione scesa dal 289 al 34 per cento, debito pubblico in calo del 12 per cento, bilancio in pareggio, oltre 53 mila funzionari licenziati e più di 1.200 regolamentazioni abolite.
Con la sua motosierra, simbolo di rigore, il presidente argentino ha tagliato la spesa del 30 per cento, ponendo fine a ottant’anni di statalismo e populismo. “Preferisco dirvi una verità scomoda piuttosto che una menzogna confortevole”, dichiarò nel suo primo discorso: non la promessa dell’assistenzialismo, ma la sfida della responsabilità personale.
La disamina dei due studiosi americani sottolinea che questa svolta non è frutto di un miracolo, bensì del ritorno ai principi elementari della libertà economica: spesa pubblica ridotta, moneta stabilizzata, potere politico limitato. La liberalizzazione delle importazioni ha abbassato i prezzi dei beni di consumo ‒ gli elettrodomestici sono scesi in media del 35 per cento ‒ e rilanciato la concorrenza; l’agricoltura, liberata da dazi e vincoli, è tornata a produrre valore reale; la riforma del monotributo ha restituito dignità a milioni di autonomi, mentre l’abolizione del controllo degli affitti ha triplicato l’offerta e ridotto i canoni del 30 per cento. È la dimostrazione empirica di un principio antico: quando lo Stato arretra, la società prospera.
Il miglioramento percepito nella vita quotidiana ‒ prezzi più accessibili, nuovi investimenti, maggiori opportunità per chi lavora e produce ‒ ha rafforzato la fiducia collettiva, trasformando i risultati economici in consenso politico. Proprio su questa ritrovata credibilità si innesta la seconda fase del progetto di Milei, destinata a consolidare e ampliare le riforme. La netta affermazione di La Libertad Avanza alle elezioni di metà mandato del 26 ottobre 2025 ha confermato il mandato riformatore e sancito il successo di una politica economica fondata sulla disciplina e sull’iniziativa privata.
La cosiddetta “fase due” prevede la semplificazione fiscale, la riforma del mercato del lavoro e la progressiva liberalizzazione del cambio. Il nuovo accordo con il Fondo Monetario Internazionale e la graduale rimozione dei controlli sui capitali aprono la strada alla dollarizzazione e alla chiusura della Banca centrale, simbolo dell’instabilità monetaria che per decenni ha impoverito il Paese. Parallelamente, Milei ha rinnovato la squadra di governo, scegliendo ministri più pragmatici e aprendo un dialogo con le forze centriste e i governatori provinciali per dare continuità alle riforme.
Non sono mancate e non mancano ovviamente le difficoltà: l’austerità, seppur necessaria, ha frenato i redditi reali e acceso proteste sindacali. Il premier argentino, tuttavia, ha ribadito che: “La prosperità non si redistribuisce, si crea” e che la povertà non si combatte con i sussidi, ma con la libertà di produrre, risparmiare e investire. La sua convinzione ‒ come osservano gli analisti di Washington ‒ è che la giustizia sociale promessa dallo Stato sia in realtà una forma di dominio, e che solo la libertà economica restituisca dignità. È una battaglia culturale prima che politica, radicata nella lezione di Alberto Benegas Lynch Jr., il quale insegnava che “il liberalismo è il rispetto incondizionato del progetto di vita altrui, fondato sulla difesa della vita, della libertà e della proprietà privata”.
La prospettiva che emerge dal citato saggio pubblicato Cato Institute è chiara: l’Argentina non sta solo aggiustando i conti, ma riscoprendo l’individuo come fondamento della comunità. In questo, Milei riannoda il filo interrotto della Costituzione del 1853 di Juan Bautista Alberdi, che aveva reso il Paese tra i più prosperi del mondo, prima che il peronismo lo imprigionasse nel corporativismo. Il simbolo della nuova Argentina tenta oggi ciò che nessuno aveva osato: demolire il Leviatano per restituire all’individuo la sovranità morale ed economica.
Come ha ricordato Ludwig von Mises, durante la sua visita a Buenos Aires nel 1959: “Ogni Paese può vivere il miracolo della ripresa economica… non per miracolo, ma per l’adozione di sane politiche economiche”. E l’Argentina di oggi sembra incarnare quella lezione. Non è ancora libera, ha tuttavia spezzato la sua catena più antica: l’idea che il benessere nasca dallo Stato. Da qui il cammino è tracciato: ridurre il potere politico, tutelare la proprietà, restituire spazio alla società e lasciare che la responsabilità individuale torni a guidare la crescita.
È la prova che, quando la libertà sostituisce il potere, la società non solo prospera, ma si rialza. E quella catena spezzata, oggi visibile sulla sponda del Río de la Plata, diventa il simbolo di un’umanità che può ancora scegliere la responsabilità al posto della sottomissione.
di Sandro Scoppa