Non è nemmeno arrivata in Parlamento, e più precisamente in Senato, in Italia, e non ha ancora preso il volo per Bruxelles, eppure la legge di bilancio già è protagonista della scena politica e oggetto di dibattito.
Dopo alcune bozze circolate nei giorni scorsi, in parte sconfessate anche dallo stesso titolare del dicastero del Mef, dopo ampi proclami da parte di alcune forze politiche che come ogni anno promettono miglioramenti o battaglie in Commissione ed in Aula per modificarla, saputo che la Ragioneria generale dello Stato ha dato la bollinatura al testo presentato per ottenerla, il ministro Tajani ha tuonato contro tale atto, sostenendo (non a torto) che: “Decide la politica e non i gran commis del ministero delle Finanze”.
Del resto, furono bollinate dalla Ragioneria generale dello Stato anche le leggi che introducevano il reddito di cittadinanza e soprattutto il super bonus, ed oggi, pretendere che i partiti accettino una legge di bilancio fatta più dai tecnici che dai politici, o da qualche lobbista molto intraprendente, sta smuovendo più di un malumore.
Non vi è da escludere che Tajani, anch’egli titolare di dicastero con portafoglio, abbia potuto vedere i tagli sui capitoli già accantonati per gli anni 2026-2028, quindi ponendo i ministri di fronte ad un sostanziale fatto compiuto, già prima che si possa procedere ad evitare la scure dei tagli previsti in legge di bilancio.
Se il bilancio dello Stato, in molte sue voci può essere definito uno “sprechificio” e uno strumento molto potente per una riduzione a volte anche significativa della libertà, non solo economica, degli individui e delle imprese, è certo che un sistema politico che si fa “controllare” dai tecnici risulta un sistema zoppo, quando invece dovrebbe essere la dialettica democratica a trovare le soluzioni, in Commissione ed in Aula.
Non è una legge di bilancio semplice, né facile. Potrebbe essere la penultima di questo governo e di questa legislatura, deve rispondere a nuove esigenze nate da accordi ed impegni internazionali presi, e deve rispettare accordi ed impegni presi, volti a ridurre il deficit, a cercare di concludere il procedimento d’infrazione che ha intentato l’Europa, e dovrebbe contenere tutte quelle iniziative, volte a chiudere tutte le procedure di infrazione che ci costano tanto, troppo.
Diamo qualche numero. A fine ottobre 2025, l’Italia ha 67 procedure di infrazione aperte dall’Ue, di cui 61 per violazione del diritto dell’Unione e 6 per mancato recepimento di direttive. Se il numero di procedure a carico del nostro paese risulta in diminuzione (erano 61nel 2023, 65 nel 2024 e sono 67 nel 2025, di cui quello per deficit eccessivo), facendoci attestare all’ottavo posto tra i paesi membri dell’Ue per numero di procedure d’infrazione pendenti, per altro verso occorre rilevare che l’Italia ha la seconda percentuale più alta di procedure di infrazione arrivate alla fase del contenzioso, e la tematica che genera il maggior numero di infrazioni è quella ambientale.
Il costo delle multe non è fisso, ma dipende da diversi fattori come il tipo di infrazione, la sua gravità e durata, che si traducono in somme forfettarie e penalità giornaliere. Le componenti del costo sono una somma forfettaria calcolata moltiplicando un importo fisso (895 euro) per un coefficiente di gravità (da 1 a 20). Una penalità giornaliera minima per l’Italia è pari a circa 8.505,11 euro. Fattori determinanti per il conteggio della somma finale sono la durata della violazione e la gravità dell’infrazione. Una cosa è certa: dal 2012, l’Italia ha pagato oltre un miliardo di euro in sanzioni.
Il primo taglio potrebbe venire da questo enorme spreco di risorse, e quella politica che rivendica il diritto di allocare le somme che i cittadini devono versare all’erario a vario titolo, a volte dimentica il dovere di evitare gli sprechi. Ad ogni livello. Fa bene dunque il vicepremier a ricordare a chi spetta la proposta allocativa delle risorse, sia in termini qualitativi che quantitativi, ma i cittadini avrebbero diritto a non veder sprecate le loro tasse, perché come ci avrebbe ricordato la Thatcher: “Non esistono i soldi pubblici, esistono solo i soldi dei contribuenti”.
Il bilancio dello Stato non è fatto con un suo denaro, ma da quello che preleva dai cittadini attraverso tasse e prestiti. Se lo si spreca, i contribuenti pagano due volte, e allora, le parole di Tajani, siano un monito per tutti, mandarini, peones e lobbisti, il cui alacre attivismo, in questo periodo dell’anno, assomiglia al turbinio delle foglie in un ventoso pomeriggio d’autunno.
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Aggiornato il 24 ottobre 2025 alle ore 10:07
