La razionalizzazione è il timore della Rai

A Natale la Rai ancora senza presidente. E forse neppure per Capodanno. È atteso per la Befana? Non si sa. Il Consiglio di amministrazione sta tirando avanti sotto la guida dell’esperto Antonio Marano. Arriva l’ossigeno di Sanremo, reggono i pacchi di Stefano De Martino, Sandokan illumina la fantasia, ed ecco le dirette del mondiale di sci. A Saxa Rubra si respira un’aria di attesa e di ansia in vista di due appuntamenti: la riforma sulla base delle direttive di Bruxelles e le decisioni della manovra nella cui bozza in discussione in Parlamento è prevista una decurtazione dei fondi all’azienda. Ci sarà scontro tra i partiti sul finanziamento del servizio pubblico? Il problema non è di poco conto, tenute presenti le sfide degli agguerriti gruppi concorrenti (Mediaset, La 7, Discovery, Dazn, Sky). Nel settore dei media si sta assistendo ad una ulteriore trasformazione dopo quella analogica e digitale. È entrata in pista l’intelligenza artificiale e la struttura della Rai non è stata più sostanzialmente modificata dal 1979 quando venne varata la Terza Rete. Anzi si sono moltiplicate le produzioni in appalto.

I 12.605 dipendenti (dati aggiornati al 2023) pesano sul bilancio 32,60 milioni di euro, esclusi i collaboratori esterni. Rilevante il numero dei giornalisti che hanno raggiunto quota 1.700, di cui 330 con funzioni direttive in otto testate e circa 800 nelle 20 redazioni regionali a fronte dei 1.300 redattori della Stampa e Repubblica, dei 5.194 di MediaForEurope, il gruppo che si espande in Italia, Spagna e Germania e che in totale superano 17mila. L’espressione che sta facendo tremare gli ambienti Rai è “misure di razionalizzazione”. Cosa vuol dire? Le interpretazioni sono le più varie. Ma si parte sempre dal bilancio dell’azienda di Viale Mazzini. Dopo anni di perdite l’esercizio 2024 è stato chiuso in pareggio con maggiori ricavi della pubblicità, raggiungendo quota 2,85 miliardi. Il raggiungimento dell’equilibrio deriva da 1,80 miliardi del canone che da 90 euro l’anno è stato portato a 70, destinando 110 milioni al Fondo pluralismo e innovazione.

Il timore è che il Parlamento approvi la riduzione del canone di 10 milioni all’anno nel triennio 2026-28, riducendo anche di 20 milioni il contribuito a radio e tivù private. Una misura considerata sbagliata anche da Usigrai. Le criticità della gestione sono state evidenziate dalla Corte dei conti che ha sollecitato riforme strutturali per mantenere l’equilibrio dei conti. Dietro la parola “razionalizzazione” ci sono i prepensionamenti del personale, i cosiddetti scivoli considerando che la maggioranza è entrata in azienda tra la metà degli anni Settanta-Ottanta. C’è soprattutto la miriade di programmi e contratti non solo dei big ma anche di figure intermedie. Non è mai facile conoscere le retribuzioni dei lavoratori. Qualche esempio non è stato però smentito. Mara Venier viaggia sui 500mila euro l’anno, superata da Antonella Clerici, Flavio Insinna, Luciana Littizzetto quando era con Fabio Fazio. Il cachet di Carlo Conti supererebbero i 2 milioni l’anno, quello di Stefano De Martino 2 milioni per quattro anni, Bruno Vespa incasserebbe un milione e mezzo (per Porta a porta, Cinque minuti ed altro).

Aggiornato il 16 dicembre 2025 alle ore 14:23