L’assistenza sanitaria, in Italia, è universale e gratuita e incide notevolmente sul bilancio dello Stato senza fornire, a parte alcune eccellenze regionali, servizi adeguati soprattutto in fatto di tempi di attesa. La soluzione? Le sinistre ricorrono, come sempre, al loro preferito luogo comune: aumentare la spesa pubblica al riguardo. Dunque, se le risorse disponibili (pari a circa il 15 per cento del bilancio statale, poco meno di quanto è per gli altri Paesi europei, meno indebitati del nostro) sono poche, allora sarà sufficiente aumentarle e avremo risolto il problema.
Non è però chiaro perché, con più risorse, le liste di attesa e i disservizi dovrebbero magicamente sparire. Per ottenere un simile risultato, gli ospedali dovrebbero acquistare una grande quantità di strumenti diagnostici e terapeutici e assumere grandi quantità aggiuntive di specialisti ma se oggi i ritardi raggiungono persino le decine di mesi sarebbe ben poca cosa riuscire a ridurli a “pochi” mesi a meno, forse, di spendere il 50 per cento del bilancio statale. Di fronte a questa disastrosa situazione dovremmo, en passant, ringraziare coloro che, potendoselo permettere, si rivolgono alla sanità privata non convenzionata alleviando il lavoro di quella pubblica; una quota di italiani che, dal 2016 al 2023 è aumentata di oltre il 130 per cento per una spesa di circa 48 miliardi e che, comunque, non può che continuare a contribuire con le tasse a sostenere il sistema sanitario pubblico.
Il problema chiave sta nella produttività, un termine impiegato nell’analisi economico-industriale ma perfettamente utilizzabile anche per l’efficienza degli ospedali. La produttività si misura in termini di efficienza degli addetti ma anche in termini di qualità e quantità di strumenti disponibili e, soprattutto, in termini di efficienza dell’organizzazione, una proprietà che negli enti pubblici è tradizionalmente poco brillante e che i governi di sinistra non risulta abbiano mai esibito in misura maggiore rispetto alla destra.
La critica delle sinistre diviene poi pietosa quando sottolineano che la spesa sanitaria, negli ultimi tre anni di governo, è diminuita ma non sempre precisando che la diminuzione è relativa al Pil e non riguarda i valori assoluti, i quali crescono significativamente ogni anno. Il rapporto al Pil può avere senso solo se, di fronte a gravissime carenze del sistema sanitario da un lato e a un forte aumento del Pil dall’altro, lo Stato decidesse cinicamente di non aumentare le risorse nonostante esse siano disponibili. Ma la realtà è purtroppo un’altra, dato che il nostro Pil aumenta molto poco e la politica economica dell’attuale governo è giustamente tesa a salvaguardare la nostra credibilità come venditori di debito e non certo a programmare massicce spese ulteriori col bel risultato di aumentare la spesa non per gli ospedali bensì per pagare salati interessi ai creditori.
Che l’opposizione abbia il diritto, e anche il dovere, di incalzare il governo è fuori discussione. Ma farlo diffondendo l’idea che i problemi oggi della sanità pubblica – antichi come pochi altri – domani della scuola, poi delle pensioni, poi dell’energia e così via esigano più spesa pubblica è davvero avvilente e quasi offensivo perché, credo, ormai anche gli asini hanno intuito che con i debiti non si va lontano. Anzi, dopo l’euforia iniziale – vedi gli effetti del “superbonus” – si va drammaticamente indietro.
Aggiornato il 16 dicembre 2025 alle ore 10:54
