La condanna della Cedu sul caso di Antonino Drago

Esistono casi in cui la storia sembra coincidere con la trama di un film. Un giovane ragazzo entra nell’esercito animato dall’amore per la divisa e con il desiderio di porre a servizio del Paese le proprie capacità. Eppure, dentro le mura della sua nuova casa ‒ la caserma ‒ luogo sicuro nell’immaginario collettivo, perde inaspettatamente la vita.

Quella mattina del 6 luglio 2014 il corpo del giovane caporale Antonino Drago viene ritrovato senza vita in una delle aree esterne alla caserma Sabattini di Roma. Come e cosa è successo?  Le indagini prendono avvio, ma dopo udienze, incidenti probatori e perizie medico legali il risultato è sorprendente: nessun colpevole, il caso viene archiviato ritenendo plausibile il suicidio. Eppure, l’ipotesi di suicidio non torna.

La ricostruzione cinematica della caduta dal secondo piano, tesi sostenuta nella versione ufficiale dei fatti, non risulta compatibile con il tipo di traumi riscontrati sul cadavere del giovane militare. In altre parole, ai periti appare difficile che un corpo caduto dall’altezza di dieci metri possa ritrovarsi ad una distanza di circa 5 metri rispetto al muro perimetrale dell’edificio. Così come l’enfisema polmonare riscontrato nel corpo del giovane e i plurimi traumi appaiono incompatibili con la morte istantanea e la caduta derivante dalla precipitazione. Tuttavia, il Gip del Tribunale di Roma archivia il procedimento penale che vedeva indagati otto militari per omicidio colposo, ritenendo gli elementi raccolti non “idonei a sostenere l’accusa in giudizio, non essendo stata neppure accertata la esatta dinamica dei fatti, che al limite avrebbe potuto fornire indicazioni su eventuali responsabilità concorrenti di natura colposa”.

Ma a distanza di undici anni, qualcosa continua a non tornare. La Corte europea dei diritti dell’uomo, su ricorso presentato dalla madre della vittima Rosaria Intranuovo, ha ritenuto infatti l’indagine svolta sulla morte di Antonino Drago inefficace. L’Italia viene perciò condannata per non aver sufficientemente adempiuto all’onere della prova e adeguatamente accertato i fatti. Una sentenza importante rispetto alla quale dovranno necessariamente seguire degli adempimenti da parte dello Stato italiano e su cui la famiglia non intende arrendersi. Ma quello degli atti di violenza all’interno delle caserme e l’omertà che ne segue è ormai un fatto che desta preoccupazione sociale.

Appare evidente che il suicidio di Antonino Drago non sia stato un vero suicidio, ma piuttosto un suicidio simulato. Quello che è certo è che qualcosa è andato storto e a prescindere dall’effettiva volontà delle persone coinvolte l’effetto che ne è derivato è stata la morte del ragazzo.  

Così come è un fatto noto che il numero dei giovani ragazzi che decide di arruolarsi è sempre più in crescita, unitamente ai fenomeni di nonnismo che per le sue stesse caratteristiche sfuggono alle forme di controllo esterno. Dare la giusta attenzione anche normativa a tali episodi non si traduce in un atto di sfiducia nei confronti dei comandanti dei vari reparti, ma appare doverosa per tutti i cittadini che decidono si svolgere il servizio militare, per tutte quelle famiglie che con orgoglio partecipano all’arruolamento dei propri figli. Occorre scardinare quella mentalità di sottomissione, ostentazione e prevaricazione ancora presente nelle realtà delle nostre caserme, per ricondurre la formazione militare ai valori di rispetto, dignità umana e libertà di autodeterminarsi. Occorre un’azione culturale incisiva solo in questo modo lo Stato potrà dimostrare che la vita di questi ragazzi, di cui lui stesso è responsabile al momento dell’arruolamento, era degna di essere vissuta.

Aggiornato il 16 dicembre 2025 alle ore 10:39