Bene! Benissimo! Purché prendiamo la cosa dal lato giusto e non troppo sul serio. Una gran botta di marketing che ci potrà venire utile se ben utilizzata e poco strumentalizzata. Del che è lecito dubitare. Bene, purché non diventi liturgia autoconsolatoria, glassa per coprire tutto ciò che non va. Bene, purché non diventi istituzione. Non ci sarebbe infatti da sorprendersi se ora nascessero l’ennesimo consorzio, gli ennesimi disciplinari. L’esatto contrario, cioè, della sua anima, che risiede proprio nell’inarrivabile talento di combinare, inventare, accostare, arrangiarsi con ciò che si ha sotto mano, nobilitare gli avanzi, trasfigurare ai fornelli perfino la miseria. Bene, purché sia chiaro che si riconosce un’arte e non una serie di piatti ricettabili. Un’arte mirabile e la predisposizione a goderne in uno spirito conviviale, un’energia creatrice che liberamente si esplica e trova sublimazione con le gambe sotto la tavola. Bene, purché si dimentichi che quell’arte non inizia ai fornelli ma nei caseifici, nelle cantine, in campo, negli infiniti luoghi ove si esplica la formidabile capacità degli italiani di trasformare in nobili alimenti le materie prime che scelgono ovunque nel mondo, senza costrizioni, anche le più esotiche.
Bene, purché non si finisca per credere che esista una cucina italiana in purezza, sempiterna, autarchica, sciovinista, così come si pretenderebbe esistesse un Made in Italy, altra botta di marketing, che agostinianamente si sa cosa sia solo se nessuno ci chiede di spiegarlo. A Vicenza, la cucina “italiana” è polenta e baccalà, farina di un cereale andino copulante felicemente con un merluzzo dell’artico sapientemente avvizzito. Cucina ultratradizionalista a 10mila chilometri senza l’assillo di compiere un delitto di intelligenza con il nemico ad ogni forchettata. Bene, purché non se ne tragga una indebita assoluzione per tutti i peccati commessi oggi nel nostro mondo agro-alimentare. Non è un’indulgenza plenaria. Lo strapotere di grandi elettori ben organizzati ha piegato il settore ad un coacervo inestricabile di divieti, bandi, chiusure, barriere, trust legalizzati, nel dichiarato obiettivo di proteggere gli insiders dalla concorrenza e massimizzare le loro rendite. Fino all’aberrazione della legge che sancisce ciò che è “qualità”. Con buona pace dell’innovazione, del progresso, della salubrità, che regaliamo agli altri. Ne sono espressione Bio, KmZero, NoOgm, Dop, Igp, eccetera, e tutto ciò che di illiberale, retrogrado, autolesionistico, portano con sé. Perfino i sequestri di parole del vocabolario, per dirla con Langone.
Bene, purché sia chiaro che la cucina italiana non è la ragnatela delle corporazioni che imbrigliano lo Stivale ma il suo esatto contrario che richiede invece briglia sciolta e astensione dall’educazione alimentare di Stato, orwelliana propaganda al servizio dei soliti grandi elettori o dell’ideologia di moda. Bene, purché ci si intenda che una cucina italiana non può esistere perché non esiste una Italia. Ne esistono mille. Ed è proprio in quella incomparabile varietà ambientale, antropologica, storica, linguistica, racchiusa in così poca longitudine e latitudine che si può trovare il tratto più potente di questo ben di Dio. Una varietà fiorita per spontanea forza vitale nei secoli, fortemente condizionata dalle mille specificità distintive che caratterizzano il Belpaese. Bene, purché il riconoscimento ci spinga a chiederci se ne siamo davvero sempre degni e cosa possiamo fare per esserlo. Non punto di arrivo, ma punto di partenza. Pungolo piuttosto che rendita. Autocritica piuttosto che autocelebrazione. Bene, purché ci aiuti a valorizzare e godere al meglio del patrimonio che una mano benevola ha dispensato a favore delle nostre genti, evitando di divenire caricature di noi stessi ad uso turistico o provinciali follower di culture altrui recepite pedissequamente. A proposito, anche dopo tanta gloria la cucina italiana e gli italiani continueranno a pendere dalle stelle di un costruttore di pneumatici francese?
(*) Imprenditore nel settore lattiero caseario
Aggiornato il 15 dicembre 2025 alle ore 13:38
