Giampiero Mughini non ha semplicemente scritto un articolo: ha lanciato un sasso nello stagno melmoso dell’autoassoluzione culturale italiana. E la sua riflessione necessaria apparsa su Il Foglio sulla presenza di libri di destra alla manifestazione “Più Libri Più Liberi” presso La Nuvola di Roma conclusasi ieri 8 dicembre, è uno schiaffo in faccia alla comoda e pigra narrazione di una memoria “di parte” che vorrebbe la storia come un fumetto a colori, dove il bene e il male sono separati da un tratto netto. L’editoriale di Mughini non è solo straordinario per il coraggio, ma per la sua brutale, quasi chirurgica, obiettività storica. È un atto di accusa contro l’idolatria della censura per omissione, contro il vizio nazionale di pensare che ignorare un fenomeno lo faccia svanire.
LA SINDROME DEL “NON LO VEDO, NON ESISTE”
Mughini confessa di essere “stupito” dalla “virulenza” con cui si è contestata la presenza di uno stand dedicato alla cultura di destra. Ed è qui che la sua critica diventa pungente e implacabile: “Confesso di essere stupito dalla virulenza con cui in tanti hanno lamentato la presenza alla Nuvola di uno stand dedicato ai libri di destra, reputando loro quei libri un sacrilegio o qualcosa del genere. Stupito perché, se a qualcuno quei libri fanno orrore non ha che da non comprarli” sostiene Mughini.
Questa è la prima, durissima lezione: l’orrore intellettuale non si combatte con la censura da supermercato, evitando lo scaffale sgradito. Si combatte con la conoscenza, la critica e, se necessario, il ridicolo. Chi ha paura che un libro, per quanto “di destra”, possa avvelenare le menti in un contesto fieristico, dimostra una fragilità culturale e una poca fiducia nella capacità di discernimento della propria parte. È il segno di una cultura che si è abituata a vivere in una teca di cristallo, immune al confronto.
LA STORIA NON È UNA FAVOLA, È PIENA DI “CATTIVI” CHE SAPEVANO SCRIVERE
Il punto centrale del discorso è l’invito a fare i conti con la storia in tutte le sue sfumature. Mughini usa l’esempio della Francia, citando autori come Céline e Brasillach, per ricordare una verità scomoda: la cultura di destra, anche quella più radicale e compromessa, era “fiorente” e vendeva. Se volete capire un minimo della storia francese dagli anni Trenta sino alla fine della Seconda guerra mondiale, con quella cultura dovete fare i conti.
Questo è il cuore polemico del pezzo. L’intellettualità di sinistra ha spesso eretto un muro tra la qualità letteraria/filosofica e l’orientamento politico. È comodo ridurre il fascismo italiano a un “crimine punto e basta”, come dice Mughini, ma questo annulla la sua dimensione di “realtà di uomini e di pensieri compiuti”. Se non si leggono e non si comprendono le radici culturali, sociali e anche artistiche che hanno alimentato quei movimenti, la storia diventa una mera e inefficace cronaca di atrocità. Il passato non si disinfetta: si analizza.
EVOLA E LA MONNEZZA IDEOLOGICA: LA CRITICA A DOPPIO TAGLIO
Mughini non si ferma all’estremismo di destra, ma applica lo stesso metro di giudizio alla sua stessa parte, il che rende la sua riflessione davvero straordinaria e non di parte. Citando Julius Evola e riconoscendo la necessità di leggerlo per capire come “ci mise del suo nel far diventare dei criminali alcuni ventenni”, Mughini estende poi la critica alla “monnezza” ideologica prodotta dalla sua giovinezza: il maoismo.
“Mi viene solo da piangere – scrive Mughini – al pensiero di quanto erano divenuti conflittuali i miei rapporti con il mio conterraneo Agatino Vittorio... Lui era divenuto un fervente maoista e ci vollero anni perché tornasse tra noi l’affetto di un tempo. Ed è questo che non perdono alla cultura di cui si stava nutrendo una parte della mia generazione, il boato di faziosità in cui era caduta”.
Questo è il vero pugno nello stomaco. La faziosità ideologica, il “boato” di chi si sentiva depositario della verità assoluta (che fosse un libretto rosso o altro), è ciò che ha avvelenato i rapporti umani, rompendo amicizie “incise nel marmo”. L’estremismo di sinistra, per Mughini, non è stato immune dalla produzione di “monnezza” e dall’uso di linguaggi violenti e divisivi, al punto da distruggere legami personali.
LA PAURA DEL CONFRONTO
L’articolo di Mughini è un monito attualissimo: l’ossessione per la purezza ideologica e la paura del confronto sono i veri nemici della cultura e della memoria storica. La memoria non deve essere “di parte”, un comodo santino da esporre, ma un lavoro di ricostruzione continua e onesta, che implica leggere anche ciò che disturba. Se si grida al “sacrilegio” per la presenza di un libro, si ammette implicitamente che la propria visione del mondo è troppo debole per reggere l’urto di una tesi opposta. La libertà, anche di stampa e di pensiero, si misura nella capacità di sopportare e analizzare l'inaccettabile, non nel tentare di farlo sparire. La testimonianza di Mughini è un faro: la storia va capita “in tutte le sue sfumature”, e per farlo, più ne leggi e meglio è, indipendentemente da chi ha scritto quelle pagine.
Aggiornato il 09 dicembre 2025 alle ore 11:28
