Il Paese da Nord a Sud appare sempre più fragile e indifeso a fronte di episodi piovosi più intensi rispetto al passato. Le immagini di città allagate – dall’Emilia-Romagna alla Toscana, dal Veneto alla Sicilia – sono ormai un appuntamento fisso: fiumi che esondano, centri abitati sommersi dal fango, campagne devastate e infrastrutture compromesse. Prima o poi bisogna prendere atto che la causa di tali devastazioni risiede in uno spropositato, nonché irresponsabile, processo di cementificazione. I ricercatori dell’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) avvertono che nella Penisola vengono impermeabilizzati circa 2,7 metri quadrati di territorio al secondo, qualcosa che equivale a oltre 233mila metri quadrati al giorno.
Nell’ultimo anno rilevato (2024) vi è stato un aumento del 15,6 per cento. Si asfalta, si cementifica, si costruiscono parcheggi e capannoni a ritmo crescente. Il risultato finale è che si riduce sempre di più la quota di suolo votata a svolgere la “funzione naturale di spugna”. Oggi il 7 per cento del territorio nazionale è cementificato – una percentuale fra le più alte d’Europa, dove la media è del 5 per cento – mentre in molte aree densamente popolate si va ben oltre. La Lombardia è al 12,19 per cento, il Veneto all’11,86 per cento, la Campania al 10,57 per cento, l’Emilia-Romagna quasi al 9 per cento. In quest’ultima regione, nel 2024 è stato raggiunto il record nazionale con mille ettari di suolo consumato.
Un tale sconvolgimento del territorio, come spiegano i geologi, ha un effetto diretto sulla dinamica delle acque. Quando la pioggia cade su superfici naturali una parte consistente di essa viene assorbita dal terreno, alimentando le falde e rallentando il deflusso verso i corsi di acqua. Viceversa, se il terreno è stato coperto dal cemento “l’effetto spugna” viene azzerato. A quel punto, l'acqua può scorrere solo in superficie, finendo con l’accumularsi e scaricare tutta la sua potenza contro ciò che incontra. In tal modo, un temporale si trasforma rapidamente in alluvione. Il consumo di suolo è un problema ambientale, politico ed economico. Devastante è stata la scelta fin qui seguita dagli amministratori di ogni appartenenza politica nel concedere la possibilità di continuare a costruire a fronte di un calo costante della popolazione. Ettari dopo ettari di campagna sono stati sottratti alla loro funzione ecologica, ossia regolare il microclima, assorbire CO2, trattenere l’acqua, mantenere la biodiversità.
Va da sé che il cambiamento climatico degli ultimi anni ha reso ancora più grave la situazione. L’aumento delle temperature globali ha alterato la distribuzione e l’intensità delle precipitazioni. Abbiamo meno pioggia durante l’anno, mentre cade copiosa e concentrata in un arco di tempo brevissimo. Da tutto ciò si evince che non basta potenziare gli argini dei fiumi e fare manutenzione ordinaria (operazioni comunque indispensabili) per mettersi al sicuro. Occorre, altresì, un cambio di paradigma che punti a riconsegnare alla natura i propri spazi e alle persone il proprio futuro. Quello che si continua a ignorare è che il suolo è una risorsa non rinnovabile e che ci vogliono secoli per rendere fertili pochi centimetri di terra (anche mille anni) mentre bastano poche ore a un cantiere per distruggere tutto. Intanto, si continua a costruire in attesa di una nuova inondazione, per poi farlo di nuovo negli stessi luoghi e negli stessi modi. Se fossimo in psichiatria tutto questo verrebbe classificato come “coazione a ripetere”. Roba da matti.
Aggiornato il 03 novembre 2025 alle ore 10:25
