
La filosofia potrebbe mostrare molte vie di risanamento sociale ed esistenziale, ma non viene ascoltata. Anzi il discorso critico al sistema rischia di essere censurato, ignorato, emarginato.
Sarei felice se la propaganda del regime tecnocratico ed economico fosse vera, se nel nostro tempo fossimo contraddistinti da condizioni favorevoli come mai prima nel corso della storia umana, e se l’uomo occidentale del ventunesimo secolo fosse quello più vicino di tutti all’acme della felicità. E invece il materialismo si è rivelato solo il centro di un biopotere a cui preme che la vita umana sopravviva soltanto per realizzare i compiti economici che le assegna il sistema. Al materialismo importa che la macchina umana funzioni e che vada avanti indolente e cinica giorno dopo giorno, anche a costo di recidere il legame con ciò che quella vita la rendeva più nobile. Al materialismo imperante non importa il nostro grido di dolore, non importa la nostra sofferenza, si nutre delle forze umane messe al suo servizio senza contropartite morali o spirituali in cambio.
Per questo Rudolf Steiner, nell’Ottocento, puntava il dito contro la civiltà materiale che sarebbe venuta al suo massimo grado di sviluppo, e che noi oggi esperiamo, come il ricettacolo del male e delle forze demoniache che distruggono la grazia e la bellezza della vita umana. Ma siamo talmente assuefatti al materialismo che il discorso critico filosofico non può nulla, perché la scienza complice della tecnica ha additato la filosofia come disciplina all’acqua di rose, senza senso, innamorata di perduti mondi fluttuanti nell’etere adatti solo per qualche romantico cuore incapace di accettare il peso della modernità. Eppure, sono i mondi dello spirito, le manifestazioni delle idee, le rivelazioni dell’essere che la filosofia registra e percepisce quelli che danno ancora sollievo a un’anima massacrata e negletta dal mondo della materia.
Ma in fondo a cosa serve l’anima, non può essere misurata, spiegata, avvistata, comperata al supermercato, è soltanto il retaggio di un mondo perduto e scellerato che la propaganda scientista e materialista indica come il regno dell’inutilità e della perdita di tempo. Magari questa propaganda fosse veritiera, non vedremmo l’Occidente e il nostro tempo contraddistinti come non mai da sofferenza, malattie insanabili, depressioni che disinnescano e annientano l’entusiasmo dell’anima. Il nostro Occidente, la nostra Italia e la nostra Europa sono contraddistinti da una sofferenza strisciante, da un male di vivere, da una grigia apatia perché la propaganda materialista non ha mantenuto le sue promesse. Vorremmo tutti essere qualcosa di più, realizzare i nostri sogni e progetti, ma l’unico spazio che ci offre il sistema è quello della mediocrità e dell’accontentarci delle briciole che le élites ci lasciano. Poi si casca in depressione, le malattie mentali aumentano e il male di vivere cresce indefinitamente.
Nessuna politica materialista tiene conto dei bisogni delle persone, è capace di metterle al centro o formula discorsi innovativi per superare la stagnante piattezza del nostro tempo. Bisogna avere coraggio e superare il monocratico e fatale abbraccio del materialismo, perché non tutta la vita umana si riduce a materia: questa sarebbe stata una bestemmia in quasi tutte le civiltà che storicamente ci hanno preceduto e che dal punto di vista della realizzazione personale e della ricerca della felicità non erano certo inferiori alla nostra.
Sotto il peso del materialismo, in Occidente siamo arrivati a misurare il tempo di un’antistoria della metafisica e della ricerca delle forme della Vita Buona. L’essere non è stato di certo ritrovato né pensato più profondamente, il mistero è stato profanato e poi dimenticato per dare vita a una nuova forma di politeismo. Oggi nelle nazioni europee viviamo l’idolatria del bene di consumo materiale. La merce è la divinità del nostro tempo. L’essere umano si è perso nelle maglie del consumismo, in una rete di rimandi tra un oggetto da comprare e l’altro, perduto tra una miriade di feticci a cui attribuisce il valore di marcare con un’impronta positiva, in realtà evanescente e misera, il senso della propria vita. Per questo il conto in banca è la cosa più importante di tutte: nella mediocrità della vita occidentale contemporanea l’oggetto ha superato di gran lunga per importanza il soggetto.
Siamo di fronte da tempo alla crisi se non alla fine dei rapporti di solidarietà e amicizia, che si manifestano soltanto nel momento del bisogno o del dolore, perché di fronte ai simulacri del consumismo la persona che incontriamo e che ci viene vicino è molto meno importante della cosa che per qualche momento possiamo riporre sul comodino o sulla credenza in sala da pranzo. Il sistema di oggetti da valore strumentale è diventato valore finale. Il sistema materiale, omologante e mercatocentrico ci ha reso delle monadi, degli atomi sociali insignificanti incapaci di generare una rete di solidarietà reciproca, persi in una bolla di effimero e trascurabile edonismo, peraltro sempre più ristretto perché le risorse vacillano, che ci è concesso a patto di non alzare mai la voce e soprattutto di non criticare mai la monocrazia tecnica, burocratica ed economica che ci tiene tutti avvinti senza la minima possibilità di andare incontro a una trasformazione della situazione che è stata data per noi.
Di fronte alla nuova divinità oggettuale ci è dato soltanto rimpiangere un tempo che fu, quando la trascendenza e l’alterità avevano un senso che dava spessore anche alla persona umana. Gli antichi dei, licenza poetica per indicare anche la divinità cristiana, vengono guardati con dubbio perché non si possono misurare, spiegare fino in fondo, perché in fondo non sono degli oggetti che possiamo acquistare per narcotizzare il nostro dolore e la miseria spirituale in cui questo sistema ci ha relegati. Per questo il sacro è decaduto e si è ristretto a venerare il prossimo bene da comperare, che però subito si rivela insignificante e inconsistente, incapace di dare vigore e forma alla vita dell’uomo, che certo, perlomeno a livello inconscio, non ha dimenticato l’importanza di porsi e porre domande.
Un rapporto con la trascendenza e la domanda filosofica che sono uno dei pochi modi per dare consistenza alla nostra esistenza, perché capaci di scuoterci dalla posizione che incarniamo per esperire altre forme, manifestazioni dell’essere che il politeismo della merce e il materialismo oggi hanno obnubilato.
Aggiornato il 17 settembre 2025 alle ore 10:12