Leone XIV e la sua sfida per la pace in Medio Oriente

Da secoli il Medio Oriente è teatro di conflitti che sembrano non conoscere tregua tra guerre, oppressioni, persecuzioni e di conseguenza ogni spiraglio di pace si dissolve spesso in un fragile compromesso, destinato a crollare al primo vento contrario. Tuttavia, fin dai primi giorni del suo pontificato, papa Leone XIV ha scelto di guardare a questa terra ferita con un’ottica diversa: quella di Sant’Agostino.

Il Vescovo di Ippona, nel IV secolo, definiva la pace come la tranquillità dell’ordine, l’armonia profonda dell’essere e non un semplice silenzio delle armi, ma un equilibrio vitale che consente alla vita di crescere. Leone XIV sembra aver raccolto questo testimone, insistendo con forza: “La guerra non è mai inevitabile”, una frase che suona come provocazione in un mondo in cui i conflitti vengono spesso presentati come fatalità geopolitiche.

La novità risiede proprio in tutta questa visione fattiva: il Papa non si limita a invocare tregue, ma parla di riconciliazione vera, di un ritorno alla dignità dei popoli. Pertanto, non basta un accordo di carta firmato sotto pressione internazionale: serve costruire relazioni autentiche, ponti di fiducia, un tessuto umano che regga oltre le contingenze.

In questo senso, la scelta di offrire il Vaticano come luogo di mediazione non è diplomazia di facciata, ma volontà di incarnare la missione universale della Chiesa come spazio di incontro. Inoltre, vi è un altro aspetto che merita attenzione: la decisione di indire una giornata globale di digiuno e preghiera.

Sebbene, in un mondo che misura tutto in termini di potere e risorse, un appello simile potrebbe sembrare debole o inefficace, Leone XIV, con grande spirituale vigore, richiama una verità dimenticata, in quanto senza la conversione dei cuori, ogni trattativa politica resta destinata a essere fragile. Proprio da questo profondo gesto ecumenico emerge il nucleo agostiniano della pace, quel seme che germoglia dentro l’uomo, prima di farsi istituzione o trattato.

Altresì, non meno significativa è la sua attenzione alle comunità cristiane orientali come i maroniti, copti, siro-malabari, greco-cattolici: popoli spesso costretti all’esilio, ma che continuano a resistere come memoria viva di una tradizione radicata nella fraternità e valorizzarle significa ricordare che la pace non si costruisce cancellando le differenze, ma custodendole e integrandole. Questo è un messaggio assai dirimente, che vale per il Medio Oriente, ma anche per l’Occidente frammentato e polarizzato.

La formula che Leone XIV usa è forte: una pace “disarmata e disarmante” e proprio in questa enfasi si coglie l’impronta agostiniana più profonda, perché solo liberandosi dall’ego e dalla sete di potere si possono costruire comunità autentiche.

Questi principi applicati al Medio Oriente diventano rivoluzionari: non più “cessate il fuoco tattici” imposti dall’esterno, ma riconciliazioni profonde fondate su verità, dialogo e fraternità. Il rischio, certo, è che queste parole rimangano ideali inascoltati, sovrastati dal fragore delle armi e dalle logiche di potenza, ma, nonostante ciò, il Papa sembra voler ribadire che un’altra strada è possibile.

Quindi, il compito della Chiesa non è assecondare il realismo cinico dei governi, bensì indicare con coraggio un realismo evangelico, ossia quello che crede nella pace come progetto concreto, non come illusione ingenua. Forse è questo il punto centrale di Leone XIV, il quale non propone una pace “per” il Medio Oriente, ma “dal” Medio Oriente, come laboratorio di riconciliazione capace di insegnare qualcosa al mondo intero.

Una pace agostiniana, costruita non sul calcolo, ma sull’armonia dell’essere e in tempi in cui la guerra viene trattata come una fatalità, questa voce fuori dal coro suona tanto più necessaria. Pertanto, per quanto l’annuncio che entro dicembre Papa Leone XIV si recherà in Libano abbia colto molti di sorpresa, per quanto finora esposto questo futuro viaggio del Pontefice appare quasi scontato, per la declinazione della sua azione fattiva di pacificazione.

Non si tratterà di un viaggio ordinario, ma del primo all’estero del nuovo Pontificato una scelta che va oltre la dimensione pastorale e si inserisce con forza nello scenario geopolitico del Medio Oriente, segnato da conflitti, tensioni religiose e fragili equilibri politici.

Il Pontefice ha parlato del “sofferente e amatissimo Libano” ricordando, pochi giorni fa, il quinto anniversario dell’esplosione al porto di Beirut. “Un Paese che continua a lottare tra crisi economica, instabilità politica e tensioni settarie – spiega un esperto di Medio Oriente a Roma – il Papa vuole dare un segnale concreto di vicinanza, non solo spirituale, ma anche umano”. Molti osservatori leggono il viaggio come un modo per mostrare vicinanza al dramma di Gaza senza confrontarsi direttamente con Israele.

Tuttavia, fonti vaticane sottolineano che la scelta del Libano non è “solo diplomatica”, perché “Il Libano stesso subisce bombardamenti e pressioni militari – spiega un funzionario anonimo – visitarlo significa entrare concretamente nelle crisi della regione, portando il messaggio di pace dove serve di più”.

Il Libano vive una tensione interna crescente e nonostante che per decenni sia stato un modello di convivenza tra musulmani sciiti e sunniti e una minoranza cristiana significativa, oggi il Paese appare fragile.

Il Parlamento libanese ha approvato il disarmo di Hezbollah, ma secondo fonti diplomatiche la misura rischia di essere più simbolica che reale. “Ogni passo falso potrebbe scatenare violenze – avverte un analista libanese – la visita del Papa è vista anche come un tentativo di offrire stabilità morale e internazionale”.

Intanto, non lontano dal confine libanese, la Siria rimane un teatro complesso, la minoranza cristiana, un tempo pari al 10 per cento della popolazione, è ora drasticamente ridotta e sotto minaccia. L’attentato del 23 giugno alla chiesa greco-ortodossa di Mar Elias a Damasco ha confermato la vulnerabilità delle comunità cristiane. Infatti, secondo un diplomatico europeo: “La visita del Papa sarà anche un segnale agli attori internazionali: non si può ignorare la dimensione religiosa dei conflitti siriani”.

Il viaggio in Libano appare una vera immersione nei nodi irrisolti del Medio Oriente e Leone XIV porterà un messaggio di tolleranza in un contesto che spesso sembra respingerlo. “È un passo rischioso, ma coerente con il profilo del Pontificato – osserva un esperto vaticano – il Papa tenta ciò che la politica non riesce a fare: dare speranza ai civili intrappolati nei conflitti”.

Prima del Libano, Leone XIV dovrebbe recarsi in Turchia per celebrare i 1.700 anni del Concilio di Nicea e ciò non è un dettaglio secondario visto che l’anniversario richiama l’unità della Chiesa, che rappresenta un obiettivo parallelo al messaggio di pace nel Medio Oriente. Un diplomatico vaticano confida: “Il Papa vuole mostrare che unità religiosa e dialogo interreligioso possono procedere insieme. È un messaggio alla Chiesa e al mondo”.

Il doppio viaggio – Nicea e Beirut – intreccia simboli e missione concreta perché, se da una parte mira all’unità della fede, dall’altra cerca di promuovere la convivenza tra comunità diverse. Al postutto, lode a Papa Leone XIV per il suo intrepido spirito di voler affrontare fin dall’inizio due sfide che, oggi, solo un Papa può tentare.

“Tranquillitas ordinis” di Sant’Agostino

Aggiornato il 26 agosto 2025 alle ore 19:35