L’abbraccio spezzato: Ninni Cassarà e Roberto Antiochia

Gli eroi di un’estate siciliana di sangue

Palermo, 6 agosto 1985. Un’afa densa e presaga avvolge la città. In Viale della Croce rossa, il rumore assordante di oltre duecento colpi di kalashnikov squarcia il pomeriggio estivo. Sotto una pioggia di fuoco, cadono il vicequestore Antonino “Ninni” Cassarà, capo della Squadra Mobile, e l’agente Roberto Antiochia, che gli faceva da scorta. L’immagine di Cassarà che spira tra le braccia della moglie, accorsa disperata sulle scale di casa, diventerà il simbolo straziante di una delle pagine più buie della lotta alla mafia. Quel giorno non morirono solo due uomini, ma un pezzo di Stato, un frammento di speranza nella battaglia contro Cosa nostra. Una battaglia che Ninni Cassarà combatteva con un’intelligenza e un’audacia fuori dal comune, fianco a fianco con l’amico e collega Giovanni Falcone.

Il lavoro con Falcone: una sinergia contro il potere mafioso

Ninni Cassarà fu uno dei più stretti e fidati collaboratori di Giovanni Falcone e del Pool antimafia di Palermo. La loro non era una semplice collaborazione professionale, ma una vera e propria simbiosi investigativa. Cassarà, con il suo acume e la sua profonda conoscenza del territorio, forniva al giudice gli elementi concreti, le prove, i riscontri che, uniti alla visione strategica di Falcone, andavano a comporre il mosaico dell’organizzazione mafiosa. Insieme, contribuirono in maniera determinante all’istruzione del primo maxiprocesso contro Cosa nostra. Le loro indagini, come la celebre operazione “Pizza Connection” condotta in collaborazione con le forze di polizia statunitensi, svelarono per la prima volta i canali internazionali del narcotraffico e del riciclaggio di denaro sporco.

Un nuovo metodo investigativo: colpire la mafia al cuore

Cassarà fu un innovatore. In un’epoca in cui la lotta alla mafia era spesso frammentaria e basata sull’intuizione del singolo, lui e la sua squadra introdussero un metodo rigoroso e sistematico. Non si limitavano a inseguire i singoli latitanti, ma miravano a decifrare la struttura di Cosa nostra, a seguirne i flussi finanziari, a comprendere le connessioni con la politica e l’imprenditoria. Insieme al commissario Beppe Montana, anche lui assassinato poche settimane prima, aveva dato vita a una squadra affiatata e determinata. Con mezzi spesso inadeguati, ma con un coraggio incrollabile, gli uomini di Cassarà battevano il territorio, raccoglievano informazioni e costruivano un quadro accusatorio solidissimo. Il famoso rapporto “Michele Greco + 161” fu uno dei frutti più importanti di questo lavoro certosino, una pietra miliare che aprì la strada al maxiprocesso. Cassarà aveva capito che per sconfiggere la mafia bisognava colpire la sua “zona grigia”, quella rete di connivenze e complicità che la rendeva potente e quasi intoccabile.

Il sacrificio di Roberto Antiochia: un esempio di lealtà assoluta

La storia di quel 6 agosto è resa ancora più toccante dal sacrificio dell’agente Roberto Antiochia. Appena ventitreenne, aveva da poco ottenuto il trasferimento a Roma. Quando seppe dell’omicidio del commissario Montana, suo amico e superiore, non esitò un istante: chiese di rientrare dalle ferie per stare al fianco di Ninni Cassarà, consapevole del rischio mortale che correva. Quel giorno, nel tentativo di proteggere Cassarà con il proprio corpo, fu il primo a cadere sotto i colpi dei killer. La sua fu una scelta di lealtà e coraggio assoluti, il gesto di un giovane che scelse da che parte stare, fino all’estremo sacrificio.

Perché oggi dobbiamo ricordare

Ricordare Ninni Cassarà e Roberto Antiochia a quarant’anni dalla loro morte non è un semplice esercizio di commemorazione. È un dovere civile e un atto di responsabilità. Il loro sacrificio ci rammenta il prezzo altissimo pagato da uomini dello Stato che hanno creduto nella giustizia e nella legalità fino in fondo. La loro eredità è un monito costante a non abbassare la guardia, a non cedere all’indifferenza o al compromesso. La loro storia, di investigatori lucidi e coraggiosi, ci insegna che la mafia si combatte con l’intelligenza, con la collaborazione e con il coraggio di rompere il muro dell’omertà. In un’Italia che ancora oggi fa i conti con le sue “zone grigie”, la memoria viva di Ninni Cassarà e Roberto Antiochia è una bussola etica indispensabile per costruire un futuro più giusto e trasparente, quella vera eredità per cui hanno dato la vita.

Aggiornato il 07 agosto 2025 alle ore 10:46