Emotivamente corretto, 50 anni di lavaggio del cervello

Non esistono questioni sociali, ma solo problemi emotivi. La durezza del vivere impone il concetto di resilienza. Non c’è posto per la provocazione beckettiana del “prova ancora, fallisci di nuovo, fallisci meglio”. Impensabile quasi al limite dello scandalo, secondo i santoni di una cultura contemporanea che vede nel mondo interiore dell’individuo il luogo in cui emergono e in cui si ritiene debbano essere risolti i problemi della società

Lo spostamento dell’accento dalla vita sociale alla vita interiore dell’individuo ha prodotto un riorientamento di una vita intellettuale sempre più orientata sul . E poiché questo “sé” è definito da sentimenti e soprattutto emozioni, lo stato emotivo viene spesso considerato l’elemento chiave che determina il comportamento individuale e collettivo. Risultato? I problemi sociali vengono interpretati esclusivamente come problemi individuali che non hanno nessun legame diretto con l’ambito sociale. La società non si tocca. Le politiche dei governi neppure. I modelli socioeconomici dominanti non vengono messi in discussione. Le questioni pubbliche vengono ridefinite come problemi privati, utilizzando il linguaggio individualizzato della terapia. Ogni problema sociale è oggi reinterpretato in una lettura psicologica: non c’è un problema più in generale, ma solo inadeguatezza personale, ansia, conflitti, nevrosi e sensi di colpa. O ti adatti o muori. O vai dallo psicanalista. Non ci sono più fondamenti sociali e culturali dell’identità individuale e, se ci sono, vanno trascurati: è l’imperativo della cultura terapeutica dominante

Secondo il sociologo Frank Furedi, il modello angloamericano ora globalizzato ricorre alle emozioni per spiegare problemi che in passato avrebbero messo la collettività pubblica e l’organizzazione della polis davanti alle proprie responsabilità, mediante analisi filosofica o socioeconomica. Ovviamente, mobilitando le masse. Quello che ora è un caso psicologico in passato era considerato una questione politica, economica o culturale, afferma il sociologo, citando lo studio di Eva Moskowitz sulla storia della terapeutica negli Stati Uniti. Lo spostamento dell’attenzione dai problemi sociali a quelli emotivi inizia negli anni Settanta e si rafforza notevolmente negli anni Ottanta, con l’avvento dei reaganomics e del thatcherismo

Non a caso, la Lady di Ferro si rese subito disponibile ad accogliere nel suo programma a favore dei disoccupati forme di intervento terapeutico, aumentando le risorse alla consulenza psicologica. In questo modo, afferma il sociologo tedesco Ulrich Beck, si personalizzava la protesta e si promuoveva un approccio terapeutico individualizzato ai problemi. 

Ai governi andava, insomma, l’acqua per l’orto. Non occuparsi delle cause, ma solo degli effetti. I disturbi emotivi non vengono visti solo come inevitabile risultato di situazioni di disagio, ma anche considerati a loro volta causa di molti insuccessi e fallimenti.

Questo “determinismo emotivo”, avverte Furedi nel suo attualissimo Therapy culture: cultivating vulnerability in an uncertain age (tradotto da Feltrinelli in Contro la psicologia. Come la deriva terapeutica rende vulnerabili individui e società), fa sì che tutte quelle emozioni non elaborate e non gestite siano all’origine dei mali della società. Per rimettere in riga i non resilienti occorre lavorare sull’emozioni. 

Siamo vulnerabili, abbiamo bisogno di aiuto? I fautori della cultura terapeutica vedono con favore l’idea di uno Stato che si occupa della gestione della psicologia individuale, ma guai a esprimere preoccupazione o perplessità sulle potenziali implicazioni autoritarie dello Stato terapeuta

Chi vedeva, come Furedi appunto, nell’espansione della terapeutica quasi un’estensione della sorveglianza e della guida dello Stato in tutto il corpo sociale era considerato 21 anni fa, quando cioè fu pubblicato il libro, un “complottista”. 

I guardiani della cultura terapeutica vedono con favore l’idea di uno Stato che si occupa della gestione della psicologia individuale, perché preluderebbe alla nascita di una società più illuminata. E soprattutto di politiche statali di redistribuzione meno centrate sulle esigenze economiche e fisiche, e più capace di tenere conto di quelle emotive. Il governo terapeutico, rileva Furedi, non crede in realtà nella capacità autonoma dell’individuo di comportarsi da cittadino. Esso ha infatti bisogno del sostegno di professionisti “che sanno meglio di loro qual sia il loro vero interesse”. Tutto questo ricrea, a livello istituzionale, il rapporto di dipendenza del paziente dal terapeuta. La dimensione del cittadino-paziente può, allora, alterare il rapporto fra la popolazione e le istituzioni pubbliche.

La governance terapeutica, si fa notare, sta erodendo il contratto sociale in cui il cittadino viene concettualizzato come soggetto razionale autonomo. Il nuovo contratto sociale terapeutico si fonda, così, sull’assunto paternalistico che il soggetto vulnerabile abbia bisogno di essere gestito e sostenuto dalla burocrazia e dallo Stato. In questo modo non è così peregrina la possibilità di sviluppare, da parte del pensiero dominante, intolleranza verso le emozioni dissidenti

L’emotivamente corretto si è fatto spazio negli ultimi 50 anni, ed è stato fondamentale per l’ascesa e l’affermazione della correttezza politica che oggi inquina la vita sociale e relazionale. Istituzionalizzando l’ethos terapeutico, avverte Furedi, si legittima il controllo sociale. Gli “esperti” sono, dunque, impegnati a definire quali reazioni emotive possano essere accettate. Il conformismo emotivo è l’abito consigliato per la festa; una manipolazione dei sentimenti, che viene spesso presentata come antidoto al comportamento antisociale. 

Ne è un esempio il cosiddetto counseling aziendale, che è diventato counseling ingiuntivo (“che ti piaccia o no, ti aiuteremo!”), a dimostrare come l’ambito delle emozioni individuali sia stato invaso dall’ethos terapeutico. Lo Stato, insomma, fa notare l’autore, con la scusa di aiutare ad acquisire una competenza emotiva, addestra chi si discosta dall’ideale terapeutico ad adottare un comportamento accettabile. È evidente che la correzione di modi di pensare ritenuti inaccettabili, con il pretesto di proteggere gruppi emotivamente vulnerabili, o presunti tali, e indicare forme di pensiero accettabili, apre alla corruzione (inconsapevole?) del pensiero, e mette gravemente in discussione la libertà di espressione

La politicizzazione delle emozioni sta creando effetti sempre più autoritari con l’obiettivo di marginalizzare le opinioni non conformi alla correttezza emotiva.  

(*) Contro la psicologia. Come la deriva terapeutica rende vulnerabili individui e società, di Frank Furedi (Autore), Lucia Cornalba (Traduttore), Feltrinelli 2023, 303 pagine, 13,30 euro.

Aggiornato il 05 agosto 2025 alle ore 11:45