#Albait. Gli Usa di Trump sono contro la globalizzazione?

La notizia è golosa. Ed è sul tappeto da tanto. Il Paese che più di tutti ha spinto verso la globalizzazione ora la rifiuta.

Cos’è la globalizzazione?

Ma soprattutto: qualcuno controlla la globalizzazione? La globalizzazione non è altro che il riconoscimento dell’esistenza di una platea popolare mondiale. In scienza, si dice che le teorie sono vive e non hanno confini. Lo stesso accade alle persone. Scambiano idee, impressioni, informazioni, passioni e anche prodotti. A furia di interagire con i vari social e le piattaforme online di vendita e acquisto, si crea una platea planetaria. Questa è la globalizzazione.

Si può impedire la globalizzazione?

Finché parliamo tutti con tutti, attraverso il globo, la domanda è sbagliata. Fermare la globalizzazione significa fermare l’uomo nella sua libertà quotidiana. Non è solo una questione di acquisti online. È proprio lo scambio social, i viaggi internazionali, il cibo. Fermare la globalizzazione significa fare il tifo per un blackout tecnologico mondiale, ma soprattutto lo spegnimento della natura umana. Impossibile.

La globalizzazione dell’Occidente e i telefoni.

Sono tre decenni che lottiamo contro il digital divide. La terza età ha ormai vissuto la tecnologia in età giovane. Inoltre, a parte le strategie educative, esistono i telefoni cellulari. Sono talmente pieni di tecnologia che non sappiamo usarla tutta, ma comunque in modo sufficiente. Computer e telefoni sono talmente facili da usare che le basi sono ora conosciute da porzioni di popolazione inimmaginabili fino a un decennio fa. Non è solo questione di necessità. È il desiderio dei servizi acquisibili che ha fatto la differenza. L’anziano che vuole acqua in bottiglia a casa sa perfettamente come fare la spesa con la consegna a domicilio. Anche i costi del telefono fisso rispetto a quello mobile hanno prodotto il ‘miracolo’. Bassi i costi dei servizi, maggiore l’uso comune.

Trump può impedire la globalizzazione?

La globalizzazione è un sottoprodotto dell’interazione sociale. Impossibile quindi che la sola America controlli alcunché. Si possono reprimere alcune informazioni in rete, spesso anche senza riuscire, ma non si possono impedire le comunicazioni online. In Afghanistan l’isolamento femminile è reso possibile da una combinazione di fattori: impedire di saper leggere e scrivere, di muoversi da casa, da qualche mese persino di avere finestre in casa. Pretese piuttosto pesanti. Si può impedire la globalizzazione solo annullando la persona. D’altronde, persino Marx, quasi due secoli fa spiegava che il conflitto tra classi era ‘globale’. Lui parlava di internazionalismo. Ma non cambia. La globalizzazione è un esito ‘naturale’ della normale interazione umana. Non si può cancellare.

Cosa vogliono i Maga, allora?

Dobbiamo capire cosa è andato storto e di cosa si lamentano gli americani. La globalizzazione delle industrie l’hanno chiamata delocalizzazione. Perché le fabbriche si sono spostate? Innanzi tutto per il costo del lavoro. Più è matura un’impresa, più il costo del lavoro incide. Di fatto, tutte le fabbriche a basso valore aggiunto sono state portate in Messico, Cina, Europa dell’est, India, Turchia, Bangladesh, Taiwan.

Ma anche le high tech sono andate via? In realtà, no. L’alta tecnologia è rimasta negli Usa, in Israele, in Europa. Turchia, Cina, India, Taiwan hanno provato in tutti i modi a rubare tecnologie e modalità di produrre innovazione. E ci sono anche riuscite. Gli Usa e l’Europa sono governati da attori stupidi tanto da farsi rubare idee e tecnologie? In estrema sintesi, sì. Questo è stato il problema. La perdita di know-how è avvenuta perché non abbiamo voluto dar retta all’analisi strategica o prospettica. Gli Usa in particolare si sono sempre cullati, dopo gli anni 50, di poter controllare qualsiasi fenomeno grazie alla loro potenza. Non ha funzionato. La capacità di export Usa è stata erosa.

Gli Usa sono sempre i più ricchi.

Negli Usa il reddito medio è quasi il doppio di quello europeo. Ma è la media dei polli di Trilussa. Le modalità di produzione di questa ricchezza provocano meno introiti per il bilancio federale. Al contempo, la grande massa di lavoratori poco specializzati pretende lavoro nelle produzioni mature. Risultato: gli Usa chiedono uno stop alla delocalizzazione, non alla globalizzazione.

La strategia Maga può riuscire nell’impresa?

 Difficile. Trump affronta la questione dal suo punto di vista: più soldi per il bilancio federale e per le imprese come la sua. A lui occorre una tassa che possa essere presentata come misura anti globalizzazione dalla sua propaganda. I dazi sono la risposta. Purtroppo, i dazi si pagano nei mercato interni. Trump, in sovrappiù, chiede la riduzione del tasso di sconto alla Federal Reserve, che finora ha resistito. Prezzi più alti dei beni importati e maggiore disponibilità di denaro accendono l’inflazione. Risultato: i redditi americani reali si ridurranno. Più tasse, inflazione, redditi più bassi cosa produrranno? Debito del bilancio federale ridotto, minori consumi e quindi meno import, maggiore concorrenza nel mercato del lavoro e quindi maggiori possibilità di rientro delle fabbriche.  Sembra un piano ben congegnato. Ma non è così. Una lussuosissima auto cinese costa sul mercato sessantamila dollari. Con quella cifra, la produzione americana può offrire al massimo una Ford di media cilindrata. Gli americani continueranno a comprare cinese. Forse compreranno meno Europa. D’altronde, il consumatore medio non conosce la differenza tra Parmigiano e Parmesan.

 L’Europa è la via d’uscita.

 Il mercato di consumo americano è composto da trecentocinquanta milioni di persone. L’Europa il doppio. Gli Usa hanno una classe media più ridotta rispetto a noi e le Trumponomics la assottiglieranno ulteriormente. Ergo: il disegno di Trump non è lottare contro la globalizzazione ma spaccare le ossa al ceto medio americano. Che usi il resto del mondo per farlo, è un incidente. La mancanza di reazioni concrete fa parte della stessa sciocca supponenza dei manager che ragionano a brevissimo termine. Ieri non si sono resi conto che se avessero portato fuori di casa tecnologia e know-how il sistema sarebbe entrato in crisi. Oggi chiedono riduzione dei salari americani e maggiore domanda interna. Impossibile. Una crisi americana però può portare a una crisi globale simili a quella del Covid.

Cosa fare, allora? Sostenere la nascita dell’Europa. Europa e Usa insieme valgono i due terzi dell’economia mondiale e possono lavorare per ottenere un risultato epocale: laicizzare, secolarizzare le religioni che oggi rappresentano il principale problema strategico, sociale ed economico del mondo. Molti arabi aiuterebbero questa evoluzione perché un Islam terroristico è intollerabile per tutti. Ma perché tutto questo possa realizzarsi, occorre un’Europa Stato che possa dialogare con gli Usa e il resto del mondo in funzione di risolutori delle crisi mondiali. Qualsiasi altra strada fa sbattere tutti contro un muro. Quel muro soltanto può ridurre la globalizzazione, sia pure solo temporaneamente. Poi, avremo gli stessi problemi e le stesse esigenze. La Costituente Europea accadrà. Se la facciamo subito ci risparmieremo guerre e crisi globale. Anche a vantaggio dei cugini nordamericani.

Aggiornato il 25 luglio 2025 alle ore 11:32