
Un altro morto in carcere. Il sistema detentivo italiano torna a colpire, e miete l’ennesima vittima. Un uomo di 58 anni, di nazionalità romena, è stato rinvenuto privo di vita all’interno della sezione di isolamento del carcere La Dogaia di Prato. Stava scontando una sanzione disciplinare, quando il suo corpo è stato scoperto nella cella, in circostanze ancora tutte da chiarire. A confermare la notizia è la procura di Prato, che ha aperto un fascicolo d’indagine e non esclude, al momento, l’ipotesi dell’omicidio. “A seguito di sopralluogo effettuato – scrive il procuratore capo Luca Tescaroli – è stato disposto l’esame autoptico e si stanno esaminando le telecamere interne dell’impianto di videosorveglianza, al fine di individuare la causa della morte”.
Il detenuto, con alle spalle una lunga serie di precedenti penali, sarebbe stato scarcerato nel febbraio 2026. Solo pochi giorni prima del decesso, il 5 luglio, aveva preso parte a una rivolta all’interno dell’istituto, durante la quale era stato trovato in possesso di armi rudimentali. Proprio per tale episodio era stato collocato in isolamento. Tuttavia, all’interno della cella non sono stati rinvenuti né lacci, né corde, né altri oggetti che possano far supporre un suicidio. Secondo quanto riferito dalla procura, “è emerso un preoccupante ricorso alla violenza da parte di gruppi di detenuti in pregiudizio di altri ed una estrema facilità di movimento di chi è ristretto, che si estendono anche alla sezione di isolamento”.
La morte dell’uomo riaccende i riflettori sullo stato di profonda crisi in cui versa l’intero sistema penitenziario italiano. Il quadro che emerge, ancora una volta, è quello di una gestione emergenziale, dove misure straordinarie diventano consuetudine e dove la sicurezza degli stessi reclusi appare sempre più fragile. Totalmente critica la posizione dell’associazione Antigone, da anni impegnata nella tutela dei diritti dei detenuti. “Il sistema carcerario in Italia è allo sbando, è all’abbandono. L’unica ricetta che il ministro Carlo Nordio ha individuato è quello delle misure alternative che è come inventare l’acqua calda, erano già disponibili prima. La pratica dell’isolamento è devastante ed è oramai utilizzato con grande facilità quale strumento di gestione quasi ordinaria del carcere”, afferma Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione.
Un j’accuse diretto non solo contro l’amministrazione penitenziaria, ma contro l’intera architettura normativa che regola la vita nelle carceri italiane. “Quella di Prato è una situazione particolare – aggiunge – dove da tempo manca il direttore e oltre il 50 per cento dei detenuti è straniero. Ma al netto del singolo episodio quanto sta avvenendo nelle carceri italiane nel 2025 è sovrapponibile al 2024: il numero dei morti è sostanzialmente lo stesso”. Un’emergenza che non conosce soluzione, né inversione di rotta, nonostante i ripetuti allarmi lanciati dalla società civile e dalle organizzazioni internazionali. Antigone, intanto, prosegue la sua azione su scala globale: “Il nostro documento è stato al centro di un confronto a Strasburgo con le massime autorità internazionali, in cui si affronta il tema dell’isolamento e il mondo per trovare alternative a questo strumento: è il regime in cui un detenuto dovrebbe essere più controllato, assurdo che venga addirittura ucciso”.
Aggiornato il 18 luglio 2025 alle ore 13:20