#Albait. Money Road, beneficenza e l’Aci di Geronimo

Un tempo la tv italiana trasmetteva le lezioni del maestro Manzi. Oggi, con un tasso di analfabetismo diretto e di ritorno, che supera il 28 per cento della popolazione, l’ignoranza ha diritto di tribuna. I congiuntivi incerti, le sintassi sbagliate, l’incapacità nella coniugazione dei verbi anche regolari è di casa anche in Parlamento e in televisione.

Per il Parlamento possiamo perdonare la scarsa confidenza con i congiuntivi. Non implica incapacità. In Abruzzo, ancora oggi, l’ex ministro democristiano Remo Gaspari è ricordato come uno dei migliori politici italiani di sempre. La sua azione politica ha portato la regione più montuosa d’Italia a uscire dalla trappola delle aree arretrate d’Europa.

Ma l’incultura esibita oggi è perniciosa. La televisione propone personaggi orribili. I reality e le loro parodie, fino alle trasmissioni di intrattenimento e informazione promuovono, talvolta nella conduzione, soggetti che avrebbero difficoltà nell’elaborare un tema di prima media. La dignità umana sembra passata di moda. La stampa, i social, i media vecchi e nuovi rappresentano il peggio della vita quotidiana e contribuiscono al declino ulteriore del quadro culturale, economico, politico.

Fabio Caressa, coltissimo commentatore sportivo, ha guidato una trasmissione dall’evocativo titolo Money Road. Premetto che è amico dei tempi dell’università e nutro per lui affetto. La sua trasmissione ha visto dodici sconosciuti camminare lungo percorsi impervi in cambio di un monte premi comune. Nel corso delle puntate, i concorrenti hanno avuto discussioni ma anche momenti di amicizia intima e toccante, salvo tradire fiducia e princìpi più volte.

Un mio professore di filosofia del liceo, Nicola Calbi, ci spiegò in classe che non poteva vedere soap opera perché rappresentavano troppi problemi e gli veniva il mal di testa. Gli attuali reality segnano un avanzamento senza confini verso l’orizzonte della spregiudicatezza. Roba da infiammazione del trigemino. Nella trasmissione di Caressa tutti hanno accusato gli altri di tirchieria, o di spreco selvaggio. Alla fine del gioco, la pratica dell’avidità di due su tutti è risultata evidente. Gli altri hanno rappresentato la debolezza del pubblico, incline a adattare il giudizio per coloro che considerano “amici”, e così fatalmente schierarsi contro le “vittime”. Il quadro finale è stato un concentrato di maleducazione e aggressione morale.

Un concorrente, esperto in odontoiatria ed estetica, di cultura italo-araba, per quindicimila euro, pari a una settimana di lavoro, inventa e realizza la sua avidità con la risibile “giustificazione” di voler “punire” un’altra concorrente, nera, anch’ella arabo parlante, colpevole di non si sa cosa. Oppure la fruttivendola casalinga che toglie la possibilità di guadagnare qualcosa ad un altro concorrente vantando uno “ius declaratori”: “Ho sempre detto che l’avrei fatto”. Questa assenza di savoir faire è diventato poi esibizionismo sui social che la poverina, facendosi del male, senza saperlo, ha inondato di rivendicaziono dell’atto misero. Già nella trasmissione aveva mandato a quel Paese, in un catanese incomprensibile ai più, la sua amica televisiva del cuore. L’amica, colpevole di averle sbattuto in faccia quella miseria che a tutti è saltata agli occhi. Davvero un disastro socio-morale. Per non parlare della figura della manager che dovrebbe essere esperta di scelte per professione e che invece si scopre ondivaga, forse voltagabbana, apparentemente senza spina dorsale. Di fatto, molti concorrenti hanno obbedito alla regola del branco quando si accanisce contro una vittima. Money Road ha rappresentato televisivamente azioni moralmente e fattualmente persecutorie che affliggono case, scuole, caserme, carceri, uffici. Nulla che non sia stato già visto, forse. Ma due domande meritano risposta: è davvero necessario esaltare il peggio dell’umanità? Noi siamo così?

C’è una risposta scientifica basata su un’evidenza: la società reale è migliore di quanto siano convinti i professionisti dello spettacolo, della politica e persino dell’economia. Se l’Italia fosse come è rappresentata in questi casi, saremmo tutti mafiosi, ladri, profittatori. Ma non lo siamo.

Grazie ad un’associazione che si chiama Ali – Emozioni in Movimento, ho avuto l’opportunità di partecipare ad iniziative di supporto ai ragazzi messi in prova da un tribunale penale. Quei ragazzi sono pienamente consapevoli che un percorso alternativo all’essere per bene conduce ad una vita basata sulla violenza morale, verbale e fisica. Il rischio autentico della vita senza regole è la morte violenta. Il rischio della vita ben vissuta è una multa. Una bella differenza.

Ma, anche senza sanzioni, le regole sociali sono forme utilitaristiche di rispetto per l’altro. Sono ben più importanti e penetranti delle regole giuridiche. Non è la norma penale a trattenerci dall’aggredire l’altro. È il desiderio di quieto vivere che alimenta la cosiddetta buona educazione. Essa ci concede la ragionevole probabilità che al momento del bisogno l’altro mi soccorra. È questa aspettativa programmatica e solidaristica che fa funzionare i rapporti sociali. La chiamiamo “etica” ma è interesse individuale inserito in una dinamica umana. Siamo “buoni” per interesse. Se siamo “cattivi”, perdiamo la possibilità di avere un sostegno domani, quando saremo deboli.

Anche in politica l’uso inappropriato di fondi pubblici non è la norma. Quando i politici o i loro fiduciari cadono nella tentazione di pensare che il denaro di tutti sia di loro esclusiva libera disposizione, nasce lo scandalo. Finisce sui giornali. Significa che anche quel comportamento non è normale né ordinario.

In Sicilia, un nuovo scandalo fa risaltare proprio una forma di maleducazione simile a quella vista su Money Road. Non sappiamo se ci siano comportamenti penalmente rilevanti, ancora. La storia racconta di fondazioni benefiche che promuovono iniziative finanziate con soldi pubblici. Per ottenere quei fondi, i protagonisti innescano comportamenti complessi. Ottenuti i fondi, scoprono di non sapere come fare beneficenza. In compenso, alimentano un giro di arte, turismo, promozione personale, reciproche assunzioni per parenti e perfino per sé stessi, a volte. Risultato: nessun impatto benefico, retribuzioni fuori scala e fini a se stesse, interesse pubblico dimenticato. I protagonisti di questo inutile spreco di impegno e risorse sono il Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, Gaetano Galvagno, la sua dimissionaria portavoce di Vimercate, Sabrina De Capitani, l’assessora al Turismo Elvira Amata, Caterina Cannariato, vicepresidente della fondazione Dragotto e moglie di Tommaso, patron di Sicily by Car, uno dei principali affitta macchine d’Italia. Protagonisti insieme ad altri di una spesa enorme, in una regione povera e governata da un sottobosco che si attribuisce redditi impensabili per il popolo votante. Facilmente si superano i centomila euro, in una regione dove il reddito medio è di diciottomila.

Una delle iniziative contestate è un incontro al Teatro Massimo di Palermo per i bambini poveri. Non potevano raggiungere bambini poveri, però. Ne chiamarono da altre scuole. Con “felpe da centinaia di euro addosso”, dice uno.

Tutto questo non è affatto normale. Non è l’Italia.

Certa politica e certa tv mostrano il “loro” mondo che non è quello ordinario. La gente per bene, che ama vivere del proprio lavoro e in un clima di cordialità con chi la circonda, è la stragrande maggioranza.

Quella maggioranza chiede rispetto. E il rispetto è una delle forme più semplici e diffuse di liberalismo. E quando quella gente per bene legge che Geronimo La Russa è il nuovo presidente dell’Aci, pensa che la nomina non sia stata opportuna e che si tratti di un desiderio di esibizione del potere patologico.

Bisogna che i gruppi dirigenti si mettano in testa che l’Italia è migliore di come sono loro.

Aggiornato il 10 luglio 2025 alle ore 15:24