Sul caso Orlandi verità indicibili destinate a non poter affiorare

A quarantadue anni esatti dalla misteriosa sparizione, torna ancora una volta alla ribalta mediatica il caso irrisolto di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana scomparsa a Roma, all’età di quindici anni, il 22 giugno 1983. A riaccendere i riflettori sulla controversa vicenda, questa volta, sono state le inattese dichiarazioni rilasciate nelle ultime ore da una vecchia amica di Emanuela, che ha deciso, dopo più di quattro decenni di non detti, di vuotare finalmente il sacco e rivelare quanto avvenuto nei giorni che precedettero la sparizione della Orlandi. Nel corso della trasmissione televisiva Rai Far West, condotta da Salvo Sottile, la donna, rompendo un quarantennale e, fino a ora, inscalfibile silenzio, ha infatti dichiarato: “Era un periodo in cui eravamo molto unite. Passeggiavamo, per Roma, anche all’interno del Vaticano, dove c’era uno spazio in cui si poteva stare tranquille. Durante una di queste passeggiate, ho notato delle persone che avevano delle attenzioni particolari. Mi ricordo che un giorno, in quei giardini, un prelato ha fatto degli apprezzamenti su Emanuela. Lei è andata verso di lui. Lui l’ha abbracciata e le ha detto: Come sei bella. Lei aveva un fascino particolare. Come l’ho visto io, potrebbero averlo visto anche altri”.

Un racconto, quello fatto dalla donna, che, per molti versi, sembra richiamare alcune dichiarazioni fatte a suo tempo da un’altra amica di Emanuela Orlandi, apparsa anche in una delle puntate della serie Netflix Vatican Girl, che era arrivata, anche grazie alle presunte confessioni della ragazza scomparsa, a tracciare un vero e proprio identikit del prelato in questione; a primo impatto, lo stesso a cui fa riferimento oggi la nuova testimone: “Io credo che sia lo stesso prete di cui Emanuela aveva parlato a quest’altra ragazza. Era magro, alto e con gli occhi chiari”, ha rivelato la donna, la quale, sottoposta a un confronto con una serie di foto di prelati che in quegli anni avrebbero potuto tranquillamente frequentare i giardini vaticani, si è fermata di colpo dinanzi ad un’istantanea: “Potrebbe essere lui”, senza tuttavia palesare molta certezza nell’affermazione.

L’uomo ritratto nella foto era l’arcivescovo statunitense Paul Casimir Marcinkus, all’epoca dei fatti narrati discusso presidente dell’Istituto per le opere di religione (Ior). Una rivelazione, questa, che tuttavia non sembrerebbe convincere molto il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, che l’ex presidente della Banca Vaticana lo conosceva bene per averci lavorato insieme proprio allo Ior: “Marcinkus non era affatto magro, non credo potesse essere lui. Questa testimonianza non può assolutamente rappresentare una certezza”, aggiunge inoltre il fratello di Emanuela, come a voler ridimensionare le dichiarazioni recentemente rilasciate dalla testimone e far cadere così le accuse rivolte all’indirizzo di Marcinkus. Sentito dalla stessa trasmissione Far West, Pietro Orlandi ha altresì voluto precisare: “In questa vicenda c’è un ricattato e un ricattatore. E se la pista sessuale ha avuto un ruolo, lo ha avuto per creare un oggetto del ricatto”.

Infine, nel corso del sit-in organizzato in ricordo di Emanuela in Piazza Risorgimento, a pochi passi dal Vaticano, Pietro Orlandi ha rivelato: “Esiste un fascicoletto sul caso nell’archivio dello Ior, nessuno vi ha potuto avere accesso, nemmeno l’ex comandante della Gendarmeria, Domenico Giani quando era incaricato di fare ricerche. Io quando dico che ci sono delle cose – ha aggiunto il fratello della ragazza scomparsa quarantadue anni fa – le dico perché lo so, come nel caso del fascicolo su Emanuela sulla scrivania di monsignor Georg Gänswein scoperto da Paolo Gabriele che poi, infatti, è stato confermato anche dal promotore di giustizia, Alessandro Diddi. A Giani fu impedito di andare allo Ior a recuperarlo – ha concluso Orlandi, aggiungendo: lo Ior è l’unico luogo dove il capo della polizia vaticana non può mettere piede”.

Insomma, nonostante le recenti testimonianze emerse inspiegabilmente dopo quattro decenni di assordante silenzio, Pietro Orlandi sembra credere poco a un coinvolgimento diretto di monsignor Marcinkus e rilancia la pista del fascicolo deliberatamente secretato dal Vaticano unitamente a quella del ricatto, prevalente, almeno a suo modo di vedere, su quella sessuale. A questo punto, se così effettivamente dovesse essere, bisognerebbe comprendere, come giustamente ha sottolineato lo stesso Pietro Orlandi, chi in questa vicenda assumerebbe il ruolo del ricattato e chi, invece, quello del ricattatore. Un interrogativo più che mai lecito, ma, evidentemente, inestirpabile, che presuppone l’inevitabile presenza di segreti inconfessabili e verità indicibili a oggi non ancora emersi (nonostante le molteplici dichiarazioni di soggetti presumibilmente informati sui fatti), o, comunque, emersi soltanto in maniera disarticolata e marginale. Dietro il caso mai risolto di Emanuela Orlandi c’è infatti ben altro, qualcosa rispetto a cui nessuno dei tre pontefici susseguitisi in questi ultimi quarant’anni ha avuto la possibilità di fare chiarezza. Non lo fece per ovvie ragioni Karol Wojtyła, ma non lo hanno fatto, negli anni seguenti, neppure Joseph Ratzinger e Jorge Mario Bergoglio, e ciò, nonostante i continui inviti rivolti dalla famiglia Orlandi a fare luce sulle ambigue vicende che videro protagonista, suo malgrado, la povera Emanuela. Come, del resto, assai difficilmente potrà farlo nel prossimo futuro Papa Leone XIV, a cui, proprio nelle scorse ore, Pietro Orlandi ha voluto rivolgere un altro accorato appello: “Mi auguro che Papa Leone, se crede che questa storia abbia un senso, vada approfondita, convochi il promotore di giustizia vaticana Diddi per chiedergli informazioni”.

Un tentativo, l’ennesimo compiuto dal fratello di Emanuela Orlandi, di fare emergere una volta per tutte una verità assai scomoda, e pertanto rimasta nascosta, destinata a non poter affiorare.

Aggiornato il 24 giugno 2025 alle ore 13:16