Religione e civiltà

Una civiltà proviene da accumulazioni, persistenti alcune, o rapide, dissolventi. La civiltà greca, la civiltà romana consustanziano l’Occidente europeo, la civiltà europea, aumentata dal Cristianesimo cattolico, ossia estetico, e dopo dal Cristianesimo protestante che sbocciò nella modernità, l’Aldilà per il di qua, insieme all’Ebraismo. Dico all’ingrosso. Nelle manifestazioni essenzializzanti di una civiltà, la lingua. Solida e mutevole, accresciuta e radicata. Molte lingue europee non si declinerebbero private di ossa greco-romane. Ma per le religioni avviene l’estremo. Codificate da millenni sono ormai carnose. Alterarle, sopprimerle toglie l’aspetto sembiante. I mutamenti sono inevitabili, per il Cattolicesimo vi sono concili, decisioni pontificali, ben diversa risultanza nei fedeli planetari intervenire nella lingua. La lingua è identificativa, non laterale. Vero, un indiano sconosce la radice greca, latina, e una liturgia in lingua nazionale indiana sarebbe “popolare”, come per un brasiliano, il portoghese, per un argentino, per uno spagnolo, per uno statunitense, per un inglese. Ma perché mai una liturgia sacra dovrebbe essere popolarizzata con linguaggio corrente? La sacralità deve contenere una alterità distintiva. Un sacerdote è manifestatore del sacro, si vestisse nel modo consueto di un cittadino stonerebbe.

L’abito non fa il monaco, però il monaco deve vestirsi da monaco. Vestirsi in ogni aspetto. Associare la persistenza della messa in latino a scopi tradizionalisti ha dell’arbitrario. Se voglio porre negazioni a convinzioni definite tradizionaliste si avversino queste concezioni, ma che hanno da spartire con il latino? Si vuole diramare la lingua latina, scendere al popolo nella comprensibilità della lingua nazionale corrente? Ma il popolo non deve soltanto capire, esiste la traduzione a tale fine, deve sentire espressivamente, sentire espressivamente! La messa è arte teologica o teologia in arte. Se dico: Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat iuventutem meam, posso dirlo in italiano, francese, mandarino ma non è la forma latina, cadenzata alla perfezione. Del resto, si dia un abbinamento con traduzione, diversamente si disperde una civiltà. Soprattutto non si faccia traduzione solo comunicativa. La messa non è comunicazione, bensì espressione. Usare il linguaggio comune non consente lo stacco dalla esistenza sociale qualsiasi. La malnata concezione che occorre scendere, andare verso il giù e non piuttosto incitarsi! Il sacro deve mantenere la diversità, l’altra realtà, per il parlare quotidiano c’è l’intera giornata, la chiesa è luogo sacro, atmosfera sacra, aura di espressioni espressive, paramenti. Canti con musiche degne non chitarrate. Io sono un cattolico culturale, ho studiato dai gesuiti, compivo il “mese mariano”, gli altari limpidissimi, i marmi bianchissimi, il sole siciliano a scampanare, piccola stanza, Sant’Ignazio, Messina. Seguivo anche gli esercizi spirituali ignaziani. Stavo in cielo sulla Terra, non dico poi cantare. La musica sacra è la somma, persino Giuseppe Verdi, tutt’altro che fidente, si verticalizzò nella messa da Requiem e quattro pezzi sacri. Addirittura Giacomo Puccini ha musica sacra, Gaetano Donizetti, nominare Johann Sebastian Bach, Antonio Vivaldi, Giovanni Battista Pergolesi.

Un amico rimpiantissimo, Virgilio Fagone, gesuita, mi aveva come assistente a una messa che celebrava per se stesso nella sede di Civiltà Cattolica, accanto a Via Veneto, con una interiorità avvolgente. Bisogna ritrovare un qualcosa di sacro, diverso, lo dico: aristocratico. In Sicilia mi recavo ad Agrigento, Segesta, Selinunte, luoghi che dopo millenni conservano forse accrescono l’altra realtà, solenne, eterna. Non bisogna aver colpa del sacro, dell’aristocrazia dello spirito, l’uscita dalla corrente quotidianità. A tale scopo, possiamo evitare i rischi delle religioni politiche almeno però che le religioni religiose si mantengano sacre e non rincorrano la comunicazione di massa. Non decadano nella supposizione che abbassandosi o rendendosi comprensibili nazione per nazione abbiano seguito. Facciano tradurre in linguaggio espressivo non soltanto comunicativo! “Andate, la messa è finita”, lo si dice alla chiusura degli uffici, alle poste. In chiesa: Ite, missa est. Pare che qualcuno si desti e qualcosa avvenga, nel nuovo pontificato. Pare che la lingua latina non sarà accantonata. Purché abbia il tratto di compimento drammatico morte-salvezza. Abbiamo necessità di sacralità qualitativa, religiosa e non religiosa. Le religioni nostrane potrebbero giovare a tale scopo non solo per avere fede ma per avere arte vitale, nobiltà dello spirito. Civiltà.

Aggiornato il 19 giugno 2025 alle ore 13:44