
Il braccio di ferro politico e sindacale per i precari in Rai affonda le radici lontano. Alla nascita, il 3 gennaio 1954, l’azienda radiotelevisiva, erede dell’Eiar, era in mano a uno schieramento cattolico, socialista e comunista con qualche spruzzata liberale. Come aveva chiesto il ministro della Giustizia Palmiro Togliatti dovevano essere incorporati quasi tutti i quadri dell’Eiar, al fine di attirare nell’orbita democratica i più preparati funzionari del vecchio regime, accanto alla cosiddetta Intellighenzia. Questo per non spaventare politicamente la borghesia, la sola in grado di acquistare il cosiddetto “scatolone”, prima che il repubblicano Ugo La Malfa bloccasse l’introduzione della tivù a colori. La sezione spettacoli venne affidata all’autore di teatro Sergio Pugliese, l’informazione al giornalista Vittorio Veltroni, il papà di Walter, direttore generale il toscano Ettore Bernabei, amico e collaboratore del “toscanaccio” Amintore Fanfani. La sede ufficiale era Via Arsenale 21, a Torino. Seguirono Via Asiago e Viale Mazzini, a Roma.
Il reclutamento del personale passava attraverso i partiti al potere, tramite le Confederazioni del lavoro (la triplice Cgil, Cisl, Uil), le associazioni legate al Vaticano e la spinta dei vertici della Confindustria e della Coldiretti del potente dc Paolo Bonomi. Ci fu anche un primo concorso pubblico dal quale arrivarono Enrico Ameri, Piero Angela, Bruno Vespa. Le inchieste vennero affidate allo scrittore Mario Soldati, al giornalista Ugo Zatterin, al manager Giovanni Salvi. Il varietà fu appannaggio di Enrico Falqui e Guido Sacerdote, poi a Mike Bongiorno. Per avviare più pubblico possibile venne varata una trasmissione di grande portata: Non è mai troppo tardi del maestro Alberto Manzi, al fine di venire incontro ai milioni di analfabeti italiani delle campagne. Mano a mano che gli anni passavano l’informazione veniva sempre più controllata dalla Democrazia cristiana, non escludendo da posizioni di rilievo esponenti del Partito comunista e del Partito socialista che usufruirono dello scosso della riforma del 1975, con la nascita della Seconda Rete. La televisione generalista aveva sempre più bisogno di canali. Così, a partire dagli anni Ottanta, per far fronte alla concorrenza, la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo il monopolio e, di fatto, spianò l’ingresso alla tivù privata di Silvio Berlusconi. I vecchi palinsesti dopo gli anni Novanta hanno avuto bisogno di una profonda revisione a causa dell’aumentato consumo personalizzato.
Il lievito di molte trasmissioni è diventata la cronaca nera, il format politico e d’inchiesta, la tivù tra la gente. Si deve soprattutto alla nascita della Terza Rete del duo Angelo Guglielmi (l’intellettuale marxista del Gruppo 63) e Sandro Curzi, giornalista di Radio Praga, Paese sera la crescita esponenziale delle trasmissioni alternative (Samarcanda, Il rosso e nero), TeleKabul. Per anni è stata una ricerca affannosa di giornalisti provenienti da tutti gli organi di stampa della sinistra. Anche la Rai Uno, Rai Due e la Radio si sono adeguate, pur avendo assunto Viale Mazzini un centinaio di giornalisti per concorso. La polemica del conduttore di Report Sigfrido Ranucci (era anche lui precario al Tg3 quando fu assunto da Curzi) ripropone il Risiko dei giornalisti di Viale Mazzini, con l’80 per cento iscritti al sindacato di sinistra Usigrai. A smantellare questa struttura ci pensò una ventina di anni fa Arturo Diaconale, quando era in Cda ed ora è contrastata da Unirai, erede dell’allora movimento dei “Cento”.
Aggiornato il 17 giugno 2025 alle ore 15:01