La giustizia che non c’è

Da giorni, va in scena un teatrino mediatico considerato molto goloso dai diretti interessati: la riapertura delle indagini sull’ormai famigerato delitto di Garlasco, dove Chiara Poggi perse la vita e per il quale è stato condannato Alberto Stasi, ha dato nuova linfa vitale a giornali e programmi televisivi che sicuramente stanno beneficiando di questo cancan mediatico che equivale ad una sferzata vitale di un settore in agonia.

Chi ci rimette, come al solito, è la vittima. E la giustizia stessa.

Al netto delle posizioni tra colpevolisti ed innocentisti, tra diverse testate e programmi ma anche all’interno degli stessi, e di nuovi scoop che vengono scodellati quotidianamente, rimane lo sconcerto per come vengano condotte certe indagini.

Quale sia la verità, noi non lo sappiamo. Però alcuni fatti andrebbero analizzati con ponderazione. 18 anni fa, quando fu condannato Alberto Stasi, il famoso quanto bistrattato “ragionevole dubbio” era presente eccome. Stasi, infatti, nei primi due gradi di giudizio era stato ritenuto innocente. Ed il dubbio che non fosse colpevole c’era anche quando ricevette la condanna, tant’è che i colpevolisti rimasero scioccati dalla “brevità” della pena inflittagli. Breve parentesi: se oggi si ripetesse il processo, data la doppia assoluzione nei primi due gradi, la procura generale non potrebbe ricorrere in Cassazione, se non nei casi evidenti di violazione della legge, nullità del provvedimento e violazione dei principi costituzionali. Quindi Stasi non sarebbe mai andato in carcere.

Ieri, lo scoop del Tg1 ha tirato fuori l’esistenza di un’impronta apparentemente riconducibile al nuovo indagato Andrea Sempio. Quell’impronta era presente 18 anni fa e fu considerata non utilizzabile. Perché? Mancava la tecnologia o c’era una volontà di chiudere in fretta la faccenda trovando un colpevole comodo e che placasse la sete di vendetta dell’opinione pubblica?

E ancora, il supertestimone presentato dal programma Le Iene ha affermato che 18 anni fa non c’era la volontà di ascoltare. E sempre di queste ore sono i messaggi delle tornate alla ribalta cugine di Chiara, così come di testimonianze mai considerate.

Un teatrino indegno dicevamo. Perché o le indagini sono state condotte male la prima volta, o la riapertura del caso a 18 anni di distanza può essere letta come una vendetta interna alla procura.

Quale sia la verità, lo ripetiamo, noi senza sfera di cristallo non la conosciamo.

Di certo, rimane l’indignazione per lo stato di salute della nostra giustizia che, come questo caso emblematico rappresenta, non è più tale. E, per questo, dobbiamo chiedere scusa a Chiara. E quando il bailamme sarà concluso, dovremo chiedere scusa anche a chi si è visto coinvolto, da innocente ma additato come colpevole, in questo teatrino indegno.

In tutto ciò, chi ha sbagliato a condurre le indagini o a pronunciare ingiuste sentenze, non pagherà mai per i propri errori. Quindi la Giustizia con la g maiuscola ha perso comunque. E con essa, tutti noi.

Sarebbe ora di ripensare non solo il sistema giustizia, ma il sistema di informazione del nostro Paese, che ha totalmente abdicato al proprio ruolo in nome di un intrattenimento tanto macabro quanto malsano.

Aggiornato il 21 maggio 2025 alle ore 13:35