Riflessioni sull’omelia di intronizzazione di Leone XIV

L’omelia di Papa Leone XIV, pronunciata in occasione della Santa messa di ieri per l’inizio del ministero petrino, si presenta come un testo densissimo di implicazioni teologiche, ecclesiologiche, pastorali e filosofiche che, nel tono pacato e colmo di riverenza nei confronti del predecessore Papa Francesco, manifesta nondimeno un orientamento chiaramente differente, segnato da un desiderio di ripresa dell’autenticità della fede cattolica nel solco della tradizione apostolica. Non si tratta di una rottura fragorosa, né di una denuncia frontale, ma di una Purificatio per elevationem, cioè di un atto di discernimento nel quale si cerca di distinguere l’essenziale dal transitorio, il permanente dall’occasionale, con l’obiettivo di ricondurre la Chiesa alla sua vocazione propria: custodire, difendere e annunciare integralmente il Depositum Fidei che è proprio ciò di cui spesso i cattolici e la Chiesa sono soliti dimenticarsi. Il punto di partenza, già nella citazione di apertura di Sant’Agostino, è cristocentrico, contemplativo, liturgico. L’accento posto sulla Pasqua come orizzonte interpretativo della transizione petrina segnala la volontà di rifondare il pontificato sulla centralità del mistero pasquale, evitando derive sociologiche, immanentistiche o pragmatiche.

In ciò si intravede un primo segnale di svolta: non si fa del pontificato uno strumento di costruzione politica della fraternità, ma si afferma che l’unità ecclesiale scaturisce da Cristo, Pastore e Agnello, morto e risorto per noi. È la verità rivelata che fonda l’unità, non il contrario. Le parole del nuovo Papa sul Conclave sono altrettanto significative: lo Spirito Santo, dice, “ha saputo accordare i diversi strumenti musicali”. Questa immagine, apparentemente semplice, rimanda a una concezione organica e gerarchica della Chiesa, dove l’unità non nasce dalla contrattazione o dal compromesso, ma da un’armonia superiore, invisibile e soprannaturale, che solo la grazia può operare. Emerge qui, con finezza, una critica a una concezione assemblearistica e orizzontale della Chiesa, talvolta affiorata in precedenza, nella quale il Sensus fidei rischiava di essere ridotto a maggioranza o consenso culturale. In tale direzione quella di Leone XIV è una sfida intellettuale e spirituale all’intero orbe cattolico, come si evince dal passaggio in cui confessa apertamente di aver accettato il suo incarico con timore e tremore.

Avendo studiato filosofia, oltre la matematica e il diritto canonico, ed essendosi formato nell’ordine agostiniano, Leone XIV conosce fin troppo bene la necessità della cooperazione della fede e della ragione, ed ecco il suo riferimento ad un tema etico e spirituale, quello del timore e del tremore, che percorre l’intero arco del bimillenario pensiero cristiano da San Paolo, attraverso il pensiero di Søren Kierkegaard, fino a Cornelio Fabro e che, soprattutto oggi, nell’epoca del transumanesimo di cui l’intelligenza artificiale è soltanto la punta estrema, dovrebbe con maggior forza interpellare le coscienze umane. Leone XIV ha accettato con timore e tremore il suo incarico di guida della Chiesa universale, ma sull’assunto che il timore non è il contrario del coraggio, come il tremore non è la mancanza di fermezza o determinazione, tanto da poter ritenere che soltanto chi teme qualcosa può trovare il coraggio e soltanto chi ha reale coraggio non può non temere qualcosa, così come solo chi trema può andare davvero avanti nella consapevolezza per cui ogni passo innanzi lo si deve sempre fare tremando, ma fino in fondo, cioè fino al luogo in cui alberga e risplende la verità. La riflessione sulla missione di Pietro si radica nella Scrittura e nei Padri, evitando quelle letture decostruzioniste del primato che, in nome del servizio, ne svuotano il significato dottrinale e istituzionale.

Il Papa parla di “amore oblativo”, non semplicemente di “vicinanza”, e riafferma che il compito del Vescovo di Roma è pascere, cioè governare spiritualmente, nella carità, ma anche nella verità. Quando cita l’episodio evangelico di Giovanni 21, egli distingue, riprendendo implicitamente gli insegnamenti della Deus caritas est di Benedetto XVI, tra l’agápē chiesto da Gesù e la philía che Pietro può offrire. È una riflessione teologicamente elevata, che mostra come l’amore cristiano non sia riducibile al mero sentimento umano, bensì sia la partecipazione all’amore divino: solo chi è stato amato radicalmente può amare oltre misura. Questo richiamo alla carità soprannaturale si salda con un’ecclesiologia che torna a essere mistica e sacramentale, non funzionale, assistenziale o sociologica. L’insistenza sull’essere “pietre vive” e sul fondamento di Cristo come pietra angolare non è solo una metafora spirituale, ma un’impostazione dogmatica: la Chiesa non si costruisce dal basso, non è frutto di una cultura sinodale intesa in senso assembleare: essa cresce per attrazione verso il suo fondamento, che è Cristo. In quest’ottica, la funzione petrina torna a essere interpretata in chiave di presidenza nella carità e nella verità, secondo la lezione delle costituzioni dogmatiche Lumen gentium del 1964 e Pastor Aeternus del 1870 del beato Papa Pio IX.

Il momento decisivo dell’omelia giunge quando il Papa si volge alla realtà storica, denunciando con parole misurate ma ferme le ferite del mondo: l’odio, la paura del diverso, il paradigma economico predatorio. Tuttavia, anche qui si nota una marcata differenza di impostazione rispetto a certe accentuazioni del pontificato precedente: la critica al paradigma economico non scivola nel linguaggio sociologico o ideologico, ma resta ancorata all’antropologia cristiana e alla carità come principio ordinatore. Quando si cita la Rerum Novarum di Papa Leone XIII del 1891, si recupera il cuore autentico della Dottrina sociale della Chiesa: la carità come principio fondativo dell’ordine sociale, non come suo sostituto. Non si tratta, dunque, di “sognare” un mondo nuovo con categorie mutuate da ideologie mondane, quanto piuttosto di operare per una società ordinata secondo giustizia, sussidiarietà e solidarietà, fondata sulla legge naturale e sul Vangelo. La sintesi tra missione e carità che il Papa Leone XIV propone non è mai annacquamento dell’identità cristiana. Al contrario, egli afferma chiaramente che l’unità non annulla le differenze, ma le valorizza solo se sono orientate a Cristo. Qui si coglie un altro segnale della svolta in atto: non si tratta di relativizzare la verità per favorire l’incontro, bensì di offrire la verità come dono, nella consapevolezza che ogni vero dialogo non compromissorio e teso ad evangelizzare e a convertire nella libertà nasce da un’identità solida, da una fedeltà vissuta.

Quando il Papa afferma che “questa è l’ora dell’amore”, lo fa non in senso intimistico o soggettivo, ma in senso ontologico: è l’amore di Dio che fonda la missione, che precede ogni progetto, che costituisce il criterio di ogni discernimento. Infine, il riferimento a Papa Pecci, e in particolare alla Rerum Novarum, è una scelta eloquente e tutt’altro che neutra. In un tempo in cui la Dottrina sociale della Chiesa rischiava di essere interpretata in chiave fluida e progressista, il Papa richiama una delle sue fonti più solide e strutturanti, per riaffermare che solo la carità vissuta nella verità può essere fermento di pace. Con questo, Leone XIV mostra di volersi situare nella grande tradizione dei Papi “dottrinari”, da san Pio X a Pio XII, passando per Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che hanno visto nel Magistero non uno spazio di aggiornamento alle mode del tempo, ma un esercizio di fedeltà dinamica alla Verità rivelata. In conclusione, l’omelia segna un momento teologicamente significativo e, in filigrana, anche storico. Papa Leone XIV non rompe con il suo predecessore, ma lo supera nel senso autentico della parola: lo assume, ne custodisce i semi buoni e ne mostra un compimento più profondo e radicato nella Tradizione. È il passo iniziale di un pontificato che si annuncia sobrio ma deciso, teocentrico e non autoreferenziale, impegnato a condurre la Chiesa lungo il difficile cammino della verità nella carità, senza cedimenti né improvvisazioni.

Aggiornato il 19 maggio 2025 alle ore 10:52