
La cultura francese, in questi ultimi secoli, è particolarmente impegnata, a livello istituzionale, a promuovere la morte senza dolore. Il XVIII secolo s’è ivi chiuso con la Rivoluzione, e una immagine che la tramanda è quella della pena di morte per ghigliottina; strumento poi ivi continuato ad usare fino all’abrogazione di quella misura tra le sanzioni penali. Lo strumento venne inventato dal medico Joseph-Ignace Guillotin per procurare, con un taglio netto del collo, la morte del condannato, senza sofferenza. La stessa logica ispira, negli Stati in cui ancora si pratica quella pena, la fucilazione mediante colpo alla nuca, la sedia elettrica, le iniezioni letali. Pochi mesi or sono, l’Assemblea nazionale, come nella Francia si chiama il Parlamento, ha inserito il diritto all’aborto tra i diritti fondamentali. In Italia non lo è, ma esiste la facoltà di praticarlo sino al sesto mese. Quando la misura venne votata, e poi sottoposta ad un referendum abrogativo non passato, il mondo politico e culturale si divise, grosso modo, tra laicisti e cattolici.
Questa divisione non rispecchiò, e non riflette anche oggi, la realtà. Pietro Bucalossi, grande oncologo, in politica membro dapprima del Partito d’azione, poi socialdemocratico, repubblicano e infine liberale, sempre coerentemente laicista, fu fermamente contrario alla legalizzazione dell’aborto. Mi spiegò come, da giovane chirurgo, per salvare la vita a madri con gravi patologie, avesse operato alcune interruzioni di gravidanza, e fosse restato gravemente turbato. Constatò infatti come gli embrioni, fin dai primi periodi di gestazione, durante l’operazione si ritraessero, cercassero di sfuggire ai ferri, nel tentativo di conservare la loro vita. Questo testimonia, egli asseriva, l’esistenza di una coscienza, consapevolezza in atto. Al contrario conobbi Giovanni Battista Franzoni, più noto come Dom Franzoni, l’abate di San Paolo fuori le mura, sospeso “a divinis” dal Romano Sommo Pontefice Paolo VI, il quale lo aveva pur chiamato al Concilio Vaticano II come il più giovane padre conciliare, proprio poiché a favore di quella legalizzazione.
Del resto, nella chiesa latina medievale, Tommaso d’Aquino, il principe dei teologi d’allora in essa, considerò l’aborto lecito fino al sesto mese. Infatti, durante la gestazione, si avrebbe prima l’infusione di un’anima vegetativa, poi di quella senziente e solo al sesto mese di quella razionale. L’essere umano è tale solo con la ragione, prima si avrebbe solo un animale e da principio una pianta. Sin da allora le parti, in politica, si confrontavano senza cultura né medica né teologica, neppure tampoco teosofica. Adesso all’Assemblea nazionale francese si discutono due leggi: una per favorire le cure palliative (cioè per lenire il dolore) e l’altra sull’eutanasia e il suicidio assistito. In Italia v’è una giurisprudenza nella quale s’invita il legislatore a provvedere. Intanto una notazione. Nel mondo precristiano, gentile, il suicidio fu apprezzato come mezzo per salvare l’onore.
L’onore fu superiore alla vita stessa. Oggi si parla di “suicidio assistito”, come mezzo per evitare il dolore. Anche Bruto, quando vinto dagli eredi di Giulio Cesare, chiese a un suo subalterno di reggere un gladio e l’abbracciò. Chiese assistenza per il suicidio. Il motivo è l’onore, non sfilare in catene per la via sacra, a Roma, nel trionfo dei vincitori, tra il ludibrio della folla, prima di essere accoppato nel Carcere mamertino. Oggi si vuole assistenza medica per troncare la vita fisica solo per evitare sofferenze; un mero fine edonistico. O per il fine inconfessabile di evitare spese per degenze troppo lunghe alla sanità pubblica, se non per avere organi freschi da trapiantare. O, peggio, in un mondo con troppi pensionati, per riequilibrare i bilanci degli enti previdenziali. Un’ultima annotazione: la cosa si diffonde in nazioni già cristiane, dove si propaga l’ateismo e la morte è pensata come sparizione. La vita terrena è corsa verso il nulla, con l’ansia di tagliare il traguardo?
Aggiornato il 15 maggio 2025 alle ore 10:53