Oggi in Cassazione i senatori e i deputati che sostengono il Governo Meloni depositeranno le firme raccolte in Parlamento per chiedere il referendum confermativo della riforma della Giustizia. Dopodiché, toccherà ai rappresentanti dell’opposizione. I giudici della Corte hanno un mese per verificare la legittimità della richiesta e trasferire le “carte” al presidente della Repubblica che, su proposta del Consiglio dei ministri, stabilirà la data della consultazione. In base ai calcoli del centrodestra, se la procedura sarà particolarmente celere, sulla carta le urne potrebbero aprirsi già a fine gennaio. L’obiettivo, però, resta quello annunciato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio: marzo-aprile 2026. C’è il nodo legato al quesito. Il testo previsto dalla legge risulta poco indicativo del contenuto della riforma su cui l’elettore sarà chiamato a esprimersi. La maggioranza auspica quindi una modifica. Anche perché le urne sanciranno di fatto l’avvio della campagna elettorale per Palazzo Chigi. La coalizione di Governo punta sull’investitura popolare di una delle sue riforme simbolo. Una bocciatura sarebbe invece sfruttata dalle opposizioni per azzoppare l’Esecutivo.
“Se il referendum dovesse bocciare la riforma – ha però avvertito Alfredo Mantovano – continueremo il nostro lavoro tranquillamente”. Per il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, la riforma è indispensabile perché decisioni come quelle sulle espulsioni o sull’Ilva dimostrano che da parte della magistratura “c’è un’invasione di campo che deve essere ricondotta”. Le raccolte firme fra i parlamentari per la richiesta della consultazione sono quattro: due della maggioranza e due di Pd, M5s e Avs in entrambi i rami del Parlamento. I parlamentari di centrodestra hanno già superato le soglie delle 80 sottoscrizioni alla Camera e delle 41 al Senato. Per il centrosinistra l’obiettivo è a un passo. Resta il tema della formulazione del quesito. “Non c’è spazio di manovra – spiega però il costituzionalista Stefano Ceccanti – è l’articolo 16 della legge 352 del 1970 a stabilirne la formulazione”. In pratica, sulla scheda dovrebbe comparire una richiesta secca di approvazione o di bocciatura della riforma indicata semplicemente col titolo: “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”. Trattandosi di una dicitura criptica, nel centrodestra c’è chi punta sul principio secondo cui il testo del quesito debba comunque risultare comprensibile all’elettore. La maggioranza potrebbe quindi tentare una formulazione più appetibile, che faccia riferimento esplicito ai punti salienti della riforma. Non a caso, la raccolta di firme dei senatori di centrodestra, oltre al titolo della riforma, riporta la dicitura: “Concernente la separazione delle carriere fra pubblico ministero e giudice, la costituzione della Corte disciplinare per i magistrati e la formazione mediante sorteggio dei Consigli superiori della magistratura”.
Che suona un po’ come un suggerimento alla Corte di Cassazione, chiamata a decidere il testo definitivo del quesito. Anche per il costituzionalista Michele Ainis, però, la strada è stretta. “Quello sulla giustizia – ha spiegato nei giorni scorsi – non è un referendum abrogativo in cui si spostano le virgole e si propone un certo tipo di quesito per convincere gli elettori In questo caso, la richiesta di referendum deve contenere l’indicazione della legge di revisione che si intende sottoporre a votazione popolare”. Per capire: il problema non si pose nel 2016, con il referendum che – bocciato – portò alla fine del governo guidato da Matteo Renzi. Il titolo della legge che fece da elemento portante del quesito referendario chiariva esplicitamente quale fosse l’oggetto del contendere: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”.
Aggiornato il 05 novembre 2025 alle ore 10:08
