
Dopo le critiche degli alleati di Governo, pare che il leader di Forza Italia abbia cambiato idea sull’immunità da riconoscere a Ilaria Salis. Il suo gruppo al Parlamento europeo aveva votato per l’immunità parlamentare. Ora pare ci abbia ripensato e voterà per la revoca. Lui dice che ci sono regole da rispettare: quali siano non è dato capire. Piuttosto sembra che sui diritti e le garanzie di una imputata prevalgano calcoli politici, vincoli di sedicenti alleanze e, peggio, ragioni di bottega. Riepiloghiamo il caso. Ilaria Salis è stata 15 mesi in custodia cautelare per un reato di lesioni personali, per il quale, a quanto pare, in Ungheria si rischiano decenni di galera. Il suo caso ha dunque sia una certa importanza giuridica che soprattutto una importanza politica. Da un punto di vista giuridico la detenzione della Salis dimostra il fatto che c’è in Europa un Paese che ha un sistema penale medievale, che prevede lunghi termini di custodia cautelare per un reato non grave, oltre che pene sproporzioniate rispetto alla gravità dei fatti. Prova ne sia che in nessun altro Stato dell’Unione, per quel reato, è prevista una custodia cautelare cosi lunga né sono previste pene così severe.
Ma, soprattutto, quel caso dimostra che c’è in Europa un Paese che tratta i cittadini degli altri Stati membri in modo diverso da come questi ultimi tratterebbero un ungherese. Se un cittadino ungherese fosse accusato in Italia, in Francia, in Germania, di un reato analogo a quello contestato alla Salis sarebbe processato a piede libero: nessun altro Stato europeo prevede una custodia cautelare così lunga per un reato simile, né prevede pene così severe per un reato simile. E dunque la questione giuridica è se il sistema penale ungherese sia compatibile con lo spirito giuridico europeo; se è giuridicamente legittimo che uno Stato dell’Unione non riconosca ai cittadini degli altri Stati le garanzie processuali che invece vengono riconosciuti agli ungheresi.
La triste obiezione del leader di quel Paese, per cui ognuno ha le sue leggi, e l’Ungheria ha per l’appunto quelle, è conferma di questa evidente ed illegittima disparità di trattamento. Ognuno può intendere quanto sia in gioco qui il destino giuridico e politico del garantismo: che non è ovviamente la difesa dei diritti degli innocenti, o dei presunti tali; è la difesa dei diritti e delle garanzie processuali di qualsiasi imputato, anche di chi è accusato di reati gravissimi. E, direi, soprattutto, di costui. Non può una forza politica dirsi liberale se non accetta il garantismo come atteggiamento formale, che prescinde dal tipo di accusa e dal soggetto cui è rivolta.
Ma la questione politica è forse più significativa, poiché il giustizialismo di chi vorrebbe nuovamente vedere in ceppi quella ragazza in realtà maschera ben altro: attesta che l’Europa è una unione di interessi economici, del tutto disinteressata ai diritti e alle garanzie che la cittadinanza europea dovrebbe implicare. C’è uniformità di scambi, di regole del mercato, ma non c’è uniformità di diritti, di tutele, di libertà individuali. E se l’l’idea stessa di Europa è in crisi, ciò è dovuto anche a questa limitata visione, per cui si sta insieme fino a che conviene negli affari e negli scambi, pur nell’enorme differenza di situazioni giuridiche che i cittadini europei incontrano spostandosi tra un Paese e l’altro. Una visione miope di ridotto raggio, che non appartiene alla tradizione politica e giuridica del liberalismo europeo.
Aggiornato il 29 settembre 2025 alle ore 18:12