Fiori nella neve (prima parte)

Alcuni anni fa, la Rai fu interessata a realizzare una serie sulla storia d’amore e di morte tra Nella Masutti ed Emilio Guarnaschelli. La vicenda, peraltro vera, verissima, si staglia come storia d’amore assai più commovente ed emozionante del rapporto tra Eloisa e Abelardo. Basti pensare che Nella, non sapendo della fucilazione di Emilio nel 1937 – glielo comunicai con imbarazzo proprio io – continuò a cercarlo per cinquant'anni. Presentai alla Rai il soggetto “Fiori nella neve” tratto dal mio saggio “La tragedia dei comunisti italiani – Le vittime del Pci in Unione sovietica” (Mondadori, Milano 1999). Mi avevano aiutato nella stesura due affermati professionisti come Mario Falcone e Christian Soddu. La Rai, alla fine, adducendo scuse patetiche, non ne fece nulla, pur ammettendo, sottovoce, la straordinaria occasione perduta. “Fiori nella neve” non poteva essere realizzato semplicemente perché delineava, di contorno all’amore dei due ragazzi, l’orrore del comunismo sovietico e la diretta partecipazione dei dirigenti del PCd’I, a cominciare da Palmiro Togliatti, nel perseguire comunisti, anarchici e socialisti italiani giunti in Urss per portare ognuno di loro la loro piccola pietra nella edificazione della società giusta. Da rimarcare che il mio saggio si fonda sulla documentazione ritrovata negli archivi di Mosca di Via Ilinka, ergo si tratta di crimini raccontati e giustificati dagli stessi carnefici. Insomma, anche il soggetto riporta non opinioni ma fatti tremendi ed inconfutabili. Proprio la caratteristica della veridicità rese inopportuna, improponibile, scandalosa la produzione di “Fiori nella neve” ad opera della tv pubblica dominata dagli eredi dei carnefici. La cosa mi parve strana, perché a Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi, forte, per giunta, di una maggioranza schiacciante. Poi, compresi che il centrodestra di Silvio era imbattibile nella gara elettorale, eppure sistematicamente incapace, dopo aver vinto le elezioni, di andare davvero al potere. Oggi, con un altro centrodestra al governo, potrebbe cambiare qualcosa? Al momento sono scettico, visto che ho fatto navigare “Fiori nella neve” in alcuni golfi governativi, senza ricevere neppure un cenno di riscontro. Certo, leggere costa fatica, ma considerando le schifezze che ci offrono televisioni e cinematografi, spero sempre che esista ancora qualcuno capace di comprendere un testo scritto. In nome di codesta speranza, ho chiesto al direttore Andrea Mancia di pubblicare a puntate la splendida storia d’amore e di lacrime tra Nella ed Emilio, due giovani comunisti, che, decenni prima di altri, compresero a loro spese quanto la loro ideologia fosse sbagliata, anzi, riprendendo il lessico di Emilio, criminale.

Fiori nella neve (Una storia vera) – soggetto di Mario Falcone, Giancarlo Lehner, Christian Soddu.

Mosca. Gennaio 1935. Siamo nei lugubri sotterranei di una prigione dell’NKVD, la famigerata polizia segreta del Partito Comunista Sovietico.

Un ragazzo, 24 anni, Emilio Guarnaschelli, un comunista di Torino, è nudo, in piedi in una cella stretta e profonda come un pozzo. Ha gli occhi tumefatti, le labbra gonfie, e sul volto il sangue rappreso per le tante botte ricevute. Per ore, infatti, è stato torturato da due aguzzini che osservano Emilio da una grata posta sopra la sua testa, accusandolo di essere un trotzkista, una spia fascista, un sabotatore. Ma Emilio urla la sua innocenza: «Sono un comunista... Un comunista italiano!». I due sgherri non l’ascoltano nemmeno e, per zittirlo, sempre attraverso la grata gli gettano una secchiata d’acqua gelata addosso. Nonostante il terribile shock termico, però, Emilio non cede: il suo ostinato grido riecheggia sinistro per i corridoi della prigione.

Dalle urla strazianti di Emilio...

...Alle acque placide del fiume Pinega, che attraversa l’omonima, desolata e remota località della Carelia ai confini del Circolo Polare Artico...

 Sulle immagini del fiume solcato da un battello scorrono i titoli di testa.

 È l’estate del 1991. Nella Masutti, un’anziana signora fragile, minuta, ma dallo sguardo fiero, settant’anni circa, è sul battello che la sta portando a Pinega, un mucchio di fatiscenti baracche sbilenche. A un tratto, dagli altoparlanti del battello parte una musica... Nella chiude gli occhi, si appoggia alla spalliera della panchina e si lascia andare ai ricordi...

 Sul suo volto intenso ha inizio il flashback...

...Siamo alla periferia di Mosca, nella sede del club degli immigrati politici italiani. È il 23 agosto del 1933. Nella ora è una ragazzina di quindici anni. È bruna, magra e vispa, con gli occhi lucenti e vivaci, sempre in movimento. Questo per lei è un giorno speciale: il suo compleanno. A festeggiarla, oltre ai suoi genitori – Anna e Costante Masutti – ci sono molti comunisti italiani approdati in Urss; sono giovani operai, antifascisti e anarchici, tutti entusiasti di partecipare alla costruzione della società socialista. Si balla al suono di un’orchestrina; in un angolo della sala è stato inoltre approntato un modesto buffet. Mentre Nella scarta eccitata il regalo che il padre le ha consegnato con un bacio – un paio di scarpe con un civettuolo nastro colorato – nella sala fa il suo ingresso Emilio accompagnato da Pilar, una bella e procace argentina sui trent’anni. Emilio Guarnaschelli – bello, altezza media, capelli neri e ben curati, occhi scuri e brillanti – non passa inosservato, molte compagne se lo mangiano con gli occhi e sperano di essere notate. Anche Nella non è insensibile al naturale fascino del ragazzo: oltre a essere bello, Emilio è anche un gran ballerino; la sensualità del tango che danza con l’argentina rapisce Nella, che resta imbambolata in mezzo alla sala ad ammirare le evoluzioni dei due.

Ma a osservare il ballo di Emilio e Pilar, c’è anche lo sguardo attento e sospettoso di Renzo Colotti, 40 anni, capo del club degli immigrati politici italiani in Urss.

Intanto, Emilio e Pilar hanno fatto il vuoto intorno a sé, costringendo tutti i presenti a spostarsi, per lasciare loro il centro della scena. Colotti, con un’espressione dura in volto, fa un cenno a Pietro Roatti uno dei suoi scagnozzi. Quando quello si avvicina, con lo sguardo gli indica Emilio. Il tirapiedi annuisce e scribacchia qualcosa su un taccuino.

A fine festa, gli ospiti se ne vanno. Nella saluta Emilio chiamandolo per nome. Il giovane torinese le dà un distratto bacetto sulla fronte, trattandola da ragazzina e provocando la sua gelosia, che diventa rabbia quando vede che il ragazzo si bacia appassionatamente con Pilar sulle scale del club.

È notte, ma Nella nel suo lettino non riesce a dormire. Alla luce fioca di un mozzicone di candela, la ragazzina affida alle pagine di un diario le emozioni che ha provato quella sera. Mentre scrive, dalla sua voce fuori campo sentiamo: «Oggi ho conosciuto l’uomo che diventerà mio marito».

Intanto che Nella si consuma d’amore per Emilio, a pochi isolati da lì, in un minuscolo appartamento, il giovane comunista torinese si sta rivestendo dopo aver fatto l’amore con Pilar. La donna è ancora a letto. Fuma una sigaretta e lo guarda mentre si abbottona la camicia. Prima di uscire, Emilio estrae da una delle tasche della giacca un pacchetto. «Tieni, questo te lo mandano i compagni belgi...». Pilar lo scarta: è un portasigarette di legno. Partendo da ciò, la comunista argentina chiede a Emilio se le autorità sovietiche gli hanno già concesso il permesso di soggiorno. Emilio fa di “no” con la testa e le rivela che ancora non ha quel prezioso documento che gli consentirebbe di avere diritto a un letto, a un lavoro regolarmente retribuito e ai buoni pasto. Pilar si offre di aiutarlo: «Se vuoi ne parlo con il capitano Poliakov... È un mio buon amico...». Emilio la ringrazia e riafferma la sua volontà di fare da solo. «Per le autorità russe ufficialmente sono ancora un turista...», dice con sarcasmo, «una rarità... Tu hai mai conosciuto un comunista che fa il turista?» Pilar sorride e allunga una mano verso il ragazzo: «Vieni qui, “Kolka”, ora non ci pensare... torna a letto...». Emilio, al quale è impossibile sottrarsi a quell’invito, sorride, si rispoglia e si rinfila nel letto.

È trascorso qualche giorno. Nell’ufficio del club, Renzo Colotti, con espressione concentrata e una sigaretta stretta fra le labbra, batte con gli indici sui tasti della macchina da scrivere. Ciò che sta redigendo è una delle tante “biografie” dei compagni italiani – da consegnare all’NKVD – appena giunti in terra sovietica. La porta dell’ufficio si apre e fa il suo ingresso Roatti, che si avvicina al tavolo e deposita un incartamento. Colotti lo sfoglia, e inizia a leggere a voce alta: «Emilio Guarnaschelli… Nato a Torino il 30 luglio del 1911... Membro del Soccorso Rosso Internazionale a Bruxelles... Arrivato in Unione Sovietica dal Belgio con un visto turistico... Carattere ostinato... Intraprendente... Tendenza al protagonismo e all’individualismo... Amorale! Ha un’amante argentina più grande di lui, che va anche a letto con il capitano dell’nkvd Poliakov... Probabili simpatie trotzkiste-bordighiste... In Italia ha un fratello, Mario, sospettato dal PCd’I di essere una spia fascista». Colotti finisce di leggere, mette da parte la scheda e si adagia sullo schienale della sedia, appoggiando gli stivali sul bordo della scrivania. Fissa il suo scagnozzo, rimasto immobile di fronte a lui. «Bravo Roatti, buon lavoro», dice. «Continuiamo a tenerlo d’occhio...».

È pomeriggio. Siamo in uno dei tetri uffici dell’NKVD a Mosca. Emilio è seduto sulla panca di uno squallido corridoio. Di tanto in tanto alza lo sguardo verso un orologio appeso alla parete di fronte... Dalla sua espressione stanca e frustrata è evidente che è da molto che sta lì. D’un tratto, una porta si apre e appare un giovane soldato che gli fa cenno di alzarsi e di seguirlo. Ancora qualche istante ed Emilio si trova al cospetto del capitano Sergieij Poliakov, 30 anni. L’uomo, alle cui spalle spicca un ritratto di Stalin, fissa Emilio da dietro la sua scrivania, su cui campeggia una bottiglia semivuota di vodka, e gli chiede il motivo della sua presenza. Emilio gli rivela che è la terza volta che si presenta in quegli uffici per chiedere il permesso di soggiorno. Poliakov alza il telefono, scambia poche parole con qualcuno, poi chiude la comunicazione e, rivolto a Emilio, gli dice di ripassare tra un mese: la sua pratica è ancora in corso di esame. Sul volto del giovane appare un’evidente delusione.

È trascorso qualche giorno. È pomeriggio ed Emilio sta in piedi su una sedia, circondato da un nutrito e attento gruppo di operai di una fabbrica meccanica. Emilio è alle battute finali di un suo intervento in cui ha descritto con toni apocalittici le tristi condizioni in cui versa il proletariato in Italia e nei paesi capitalisti. Uno scrosciante applauso sottolinea la fine del discorso. Non appena mette piede a terra, Emilio viene avvicinato da Varja Kudrina, 18 anni, una compagna del Komsomol. Dopo avergli fatto i complimenti per le sue energiche parole, la ragazza lo invita a bere una vodka allo spaccio della fabbrica. Ma Emilio è costretto a declinare l’invito: ha un problema impellente da risolvere; entro quella sera dovrà trovare un posto in cui dormire. Varja lo rassicura, forse ha la sistemazione che fa per lui.

Qualche ora dopo, vediamo i due ragazzi salire le scale di un palazzo nel centro di Mosca. Giunti di fronte a una porta, Varja bussa e appare una donna poco più che trentenne, minuta, graziosa, piedini inguainati in scarpe col tacco e sguardo civettuolo, che sprizza sensualità da tutti i pori. Varja fa le presentazioni: «Lei è la compagna Giuseppina...», dice rivolta a Emilio. «Ma tu chiamami Pina», ribatte la donna. I due si presentano e si baciano sulle guance, fissandosi in maniera insistente. Varja va via. Rimasti soli, Pina fa di tutto per mettere a suo agio il ragazzo. In casa ha poco, ma quel poco che ha da brava comunista lo mette a disposizione del suo ospite. Mentre consumano una frugale cena, Emilio e Pina si raccontano. Col trascorrere del tempo, la vodka bevuta, seduti comodamente su un divano, scioglie la lingua e allenta eventuali pudori. Da come si muovono appare chiaro che i due si attraggono fisicamente. è Pina che fa il primo passo, ed Emilio non si fa pregare. Si baciano, poi fanno l’amore sul divano.

Siamo a casa di Nella. È ora di pranzo. Nonostante l’assoluta povertà di ciò che i Masutti possono mettere a tavola, quel giorno hanno un ospite: è Renzo Colotti. A Nella istintivamente quell’uomo rude, volgare e grifagno non è per niente simpatico. Dopo pranzo, il padre della ragazza s’intrattiene a chiacchierare con Colotti, non prima però di aver ordinato a moglie e figlia di uscire dalla stanza. Mentre la madre si rifugia in cucina, Nella raggiunge la sua minuscola stanzetta. Ma vista la microscopica metratura della casa, dalla sua posizione la ragazzina riesce a sentire il discorso che il padre e Colotti hanno intavolato tra un bicchiere di vodka e l’altro. L’argomento è sempre lo stesso: l’affidabilità dei compagni arrivati in Urss negli ultimi mesi e quella di coloro che già ci stanno da tempo ma che non fanno parte dell’entourage che ruota attorno ai dirigenti che vivono all’Hotel Lux. I commenti sono come sempre aspri, cattivi. Al setaccio delle calunnie e delle maldicenze, passa anche Emilio. Colotti lo descrive come uno assolutamente non affidabile, che ai suoi occhi si dà tanto da fare solo per mascherare la sua incapacità di adattarsi e rispettare le direttive del partito. Emilio è un cane sciolto, che ragiona troppo con la sua testa, e ciò lo rende un individuo pericoloso. Inoltre, continua Colotti, è un amorale: prima la spagnola, ora quella puttana di Pina che «...ragiona solo con la figa». Nel sentire ciò, Nella è basita, preoccupata. Vorrebbe intervenire per difendere il suo amore, ma poi si blocca e per la frustrazione scoppia a piangere.

Qualche giorno dopo...

Emilio sta scrivendo al fratello Mario. Con la sua voce fuori campo sentiamo alcuni passaggi della lettera: «Il raccolto quest’anno è stato straordinario, talmente abbondante che tra due mesi non ci sarà più bisogno delle tessere di approvvigionamento. Il vitto del proletariato qui è cento volte meglio di quello che può avere l’operaio più privilegiato nei paesi capitalisti... Caro fratello, nella tua ultima mi dicevi della Germania. Vorrei ricordarti che quando Hitler andò al potere disse che in quattro mesi avrebbe eliminato il bolscevismo, invece son passati sei mesi, e il comunismo ha ancora il suo giornale che esce illegalmente in trecentomila copie. Qui è noto a tutti che in Germania esistono perfino dei campi di concentramento con migliaia e migliaia di compagni prigionieri, condannati per lunghi anni... Eppure credimi, non furono vane le parole di Spartaco: “Malgrado tutto, mio sarà il domani”». Mentre scrive, a un tratto sente dei passi. Si volta, è Pina che gli porta una tazza di tè. La donna depone sul tavolo il vassoio, si avvicina a Emilio e lo abbraccia da dietro. Inizia a baciarlo sul collo...

È giorno. Nella, è di fronte allo specchio, si sistema i capelli, si passa un po’ di polvere di riso sul viso. Alle sue spalle appare la madre: «Esci?». Nella annuisce, e alle insistenze della donna che vuole sapere dove vada, la ragazza risponde inventandosi una scusa.

Ora Nella cammina per le strade di una Mosca che si avvia verso l’autunno. Arrivata in centro, guadagna l’ingresso di una sala conferenze. In quel momento, davanti a un attento uditorio, Emilio sta parlando della sua esperienza al Soccorso Rosso Internazionale. Nella sala, mimetizzato tra il pubblico, c’è Colotti. Qualche fila più avanti siedono Pina, Varja e, poco più in là, Pilar. Nella non si accorge della loro presenza e si sistema in un posto che le consenta di guardare bene e di farsi notare da Emilio. Ma il ragazzo, preso com’è dal suo intervento, non la vede nemmeno. Dopo un po’, sfiancata da tutte quelle chiacchiere per lei astruse, Nella si addormenta.

Dal volto dolce di Nella che dorme a...

...Quello duro di un bambino di 10 anni, Pavlik Morozov. Il giovanissimo “pioniere”, adeguatamente forgiato dall’ideologia, sta denunciando di fronte ai suoi compagni di classe e a una schiera di autorità i propri genitori, rei a suo dire di aver criticato le autorità sovietiche per le misere condizioni di vita e di avere aiutato dei contadini kulaki fornendo loro delle carte d’identità. Tra coloro che assistono all’infame delazione della piccola spia c’è anche Emilio e, nascosta tra un nutrito gruppetto di comunisti italiani, Nella, che si trova lì solo per tampinare il ragazzo di cui si è innamorata. Alla fine della performance dell’agente in erba, salutata da uno scrosciante applauso, Emilio finalmente si avvede di lei. «E tu che ci fai qui?». «Quello che ci fai tu». Emilio non le crede, ma accetta la risposta. Vanno via insieme.

Mentre camminano Emilio si accorge che Nella è turbata. Le chiede il motivo. Con schiettezza, la ragazza, gli rivela che la scena cui hanno assistito poco prima le è parsa terribile. «Ma come si possono denunciare i genitori... coloro che ti hanno messo al mondo!». Sulle prime Emilio non le sa rispondere, anche se dal suo volto tirato appare evidente che nemmeno a lui quello spettacolo è piaciuto, e quando Nella insiste per conoscere il suo parere il ragazzo le confessa che non è quello ciò che lui intende per “comunismo”. Istintivamente Nella gli afferra la mano. Emilio gliela stringe. A questo punto Nella si decide a rivelargli ciò che ha sentito qualche giorno prima a casa sua. Emilio sorride e la tranquillizza: lui ha la coscienza a posto, è un vero comunista e non ha nulla da temere. Ma Nella insiste e lo mette in guardia: Colotti è uno pericoloso. «No, è solo un ottuso burocrate», sentenzia Emilio. Mentre continuano la loro passeggiata, durante la quale Emilio ha modo di “scoprire” la forza morale di quella ragazzina, i due non si accorgono di essere seguiti da Roatti, la spia di Colotti.

Emilio e Nella giungono davanti al palazzo in cui vive la ragazza. Qui, al momento di salutarsi, Emilio si avvicina a Nella e la bacia sulla guancia: «Domani vado al cinema, vuoi venire con me?». Nella annuisce felice e scompare dentro il portone. Emilio va via, sempre seguito da Roatti.

È sera. Emilio sta studiando russo alla luce di un mozzicone di candela. A un tratto, sulla soglia della stanza si staglia la figura di Pina. La donna invita Emilio a chiudere il libro e a raggiungerla a letto. Emilio però, accampando la scusa che deve finire di studiare, declina la profferta amorosa. Sentendosi rifiutata, Pina reagisce. Tra i due c’è un duro scontro al termine del quale la donna lo caccia di casa. Emilio raccoglie la propria roba e va via.

Dopo aver girovagato per le strade deserte di Mosca, il ragazzo approda in una specie di ostello che ospita i comunisti appena giunti dagli altri paesi in terra russa. Emilio è subito impressionato dallo squallore di un posto che è stipato da decine di poveri disgraziati come lui. Rimedia un letto vicino a un compagno italiano, ma nella notte si sente male; dei violenti dolori devastano le sue viscere, si lamenta, cade dal letto ma nessuno se ne preoccupa, e tutti continuano a russare o pensare ai fatti propri.

...Il buio di un cinema. Sullo schermo scorrono le immagini di due innamorati che si baciano. Nella ed Emilio, mano nella mano, osservano rapiti quelle dolci immagini. Si guardano, si accarezzano a vicenda le mani, fino a quando Emilio si alza di colpo; afferra Nella e la trascina via con sé.

Usciti dal cinema, i due ragazzi abbracciati attraversano una strada ed entrano in uno dei tanti parchi pubblici di Mosca. Si inoltrano in una zona deserta e qui si baciano, e subito Emilio si trova completamente spiazzato di fronte alla passione espressa da quello scricciolo di donna, lui che di donne esperte e navigate ne ha conosciute tante. Ma a un tratto Nella si ferma, lo fissa e gli chiede delle sue amanti, Pilar e Pina, della quale ha sentito parlare a casa. Emilio la rassicura: Pilar è una cara amica che conosce fin da quando viveva a Bruxelles, mentre Pina l’ha solo ospitato per un po’ ma poi, quando lui ha rifiutato le sue richieste sessuali, l’ha cacciato. Tranquillizzata dalle parole del ragazzo, Nella lo attira nuovamente a sé e lo bacia, quindi s’appoggia con la schiena al tronco di una betulla, e con la mano solleva la sua gonna fino a scoprire le gambe...

Uno schiaffone s’abbatte sul viso di Nella, appena rientrata a casa. A darglielo è il padre. L’uomo intima alla figlia di non frequentare più Emilio, che è ritenuto un soggetto “pericoloso”. Trattenendo a forza le lacrime, la ragazzina reagisce affermando con forza che quelle di Colotti verso Emilio sono solo calunnie. L’uomo sta per darle il resto, ma la moglie si frappone fra i due.

È giorno. Emilio e Nella passeggiano per il centro di Mosca quando, in una vetrina di uno spaccio alimentare dello Stato, vedono esposte delle forme di formaggio olandese con la scorza rosso vivo. I due ragazzi restano un istante imbambolati. Poi, dopo essersi guardata attorno, approfittando di un buco nella vetrina, Nella infila la mano per toccare quel cibo di cui nemmeno si ricorda più il sapore. Ma ritratta la mano guarda basita Emilio: «Ma è di legno!». Emilio non le crede e tocca anche lui quei tristi simulacri, figli di una bugia ancora più grande e dolorosa. Vedendo la delusione dipinta sul volto di Nella, con una stretta al cuore Emilio le promette solennemente che la prossima volta che vedrà il formaggio, questo sarà vero. Mentre tornano verso casa di Nella, vedono spuntare da un vicolo una decina di bambini di varia età, sporchi, e scheletrici che subito li circondano implorando per qualche spicciolo. Emilio si fruga nelle tasche e lascia cadere un copeco nella mano di uno dei bambini mentre Nella fissa attonita la fame dipinta negli occhi di quei piccoli cani randagi.

Lo spettacolo tremendo di quei bambini, Emilio lo denuncia nel corso del suo intervento al club degli immigrati politici italiani, suscitando perplessità nei più e la netta opposizione di Colotti, che ribadisce fermamente come in Urss la fame non esista! Alla fine della riunione, mentre Emilio sta andando via insieme a Nella, Colotti lo blocca: «Guarnaschelli, parli troppo... sei su una brutta china». Emilio lo fissa: «Non sono io che parlo troppo... sono troppe le cose che non vanno», e va via. All’uscita del club, però, Emilio viene avvicinato da un compagno emiliano, Aldo Pionati. «Ho sentito quello che hai detto lì dentro... anche io li ho visti quei bambini». Emilio gli domanda come mai allora sia rimasto in silenzio. «Non tutti hanno il tuo coraggio... o la tua incoscienza». Dopodiché, invita Emilio e Nella a bere qualcosa in uno spaccio poco distante.

Davanti a un bicchiere di vodka, Aldo rivela a Emilio di essere un ex casaro di una azienda emiliana e che la fabbricazione del formaggio per lui non ha segreti. Emilio sorride, una lampadina gli si è accesa nella mente. Guarda Nella: «Che ti avevo detto?».

È trascorsa qualche settimana. L’attività messa su da Emilio e Aldo è in pieno fervore: dalle abili mani del casaro vengono fuori le prime splendide forme che dopo la stagionatura diventeranno Gorgonzola. I due sono certi che la loro iniziativa incontrerà un gran successo, e hanno ragione: quel formaggio ai russi piace eccome.

Ma, per una pura questione d’invidia, Renzo Colotti denuncia presso le autorità i due, e in particolar modo Emilio, sul quale ha pronto un dossier che passa all’NKVD: l’accusa è quella di sabotaggio. Per tacitare quell’instancabile homo faber, Colotti prende a pretesto le muffe tipiche del Gorgonzola, che a suo dire sarebbero un bieco sistema per avvelenare il “latte proletario”.

Convocato con urgenza da Poliakov, Emilio viene interrogato e diffidato dall’intraprendere ulteriori iniziative individuali: il formaggio, come tutte le altre cose, in Unione Sovietica lo fa lo Stato. «Comunque per questa volta passi», gli dice Poliakov prima di congedarlo. Poi, mentre Emilio sta per imboccare la porta e uscire, il capitano dell’NKVD aggiunge: «Certo che però era buono quel formaggio...». Emilio si volta e sorride al capitano: «Lo so, l’ho fatto io».

È il tardo pomeriggio del primo dicembre 1934. Emilio e Nella sono a letto, ancora abbracciati appena dopo aver fatto l’amore. Attraverso i vetri della finestrella della stanza, fissano la neve che cade lentamente. All’improvviso bussano con energia alla porta. È Aldo Pionati, che in quei giorni sta ospitando Emilio nella sua casa. Pionati bussa di nuovo, più forte. Emilio si alza e va ad aprire. Il compagno emiliano è terreo in volt: Emilio non ha sentito quel che è successo? Là fuori sono tutti in subbuglio... Hanno ammazzato Sergej Kirov, il potente capo del partito di Leningrado. Emilio si volta verso l’interno della stanzetta. «Vestiti», dice a Nella, con voce preoccupata.

Alcune ore dopo, nella sede del club affollata di compagni italiani che ovviamente commentano il drammatico avvenimento, è in corso una seduta di autocritica collettiva diretta da Renzo Colotti. Tutti fanno mea culpa per non essere stati abbastanza vigili circa le infiltrazioni di membri trotzkisti che hanno infettato il partito e portato alla morte il compianto compagno Kirov. Quando arriva il turno di Emilio di fare la sua cistka, Colotti lo blocca prima ancora che inizi a parlare: non è necessario che lui dica nulla. Colotti, e via via tutti gli altri – compresa Pina, una delle accusatrici più accese – incolpano Emilio di essere un trotzkista e di aver “mormorato” contro l’Unione Sovietica. Emilio si difende con veemenza, sotto gli occhi sempre più spaventati di Nella. Il ragazzo ribatte colpo su colpo alle accuse: ma quale sarebbe la sua colpa, quella di aver messo in rilievo le contraddizioni di uno Stato che ha la pretesa di essere perfetto?! Colotti gli toglie bruscamente la parola e lo fa buttar fuori da Roatti e altri due scagnozzi. Prima di uscire anche lei, la ragazzina s’avvicina a Pina e le molla un gran ceffone in pieno viso sotto gli occhi sgomenti di tutti, a cominciare dal padre di Nella che abbassa il capo sconsolato.

Dopo la burrascosa assemblea, Pionati va incontro a Emilio. Ha un’espressione tesa e mortificata. Emilio intuisce tutto solo guardandolo in volto. «Ho capito, non preoccuparti... Stasera stessa mi troverò un’altra sistemazione».

Emilio torna all’ostello. Nei giorni che seguono comincia a notare che gli ospiti sono sempre di meno, e i letti vuoti aumentano. Chiede notizie, e ottiene solo il consiglio di starsene zitto e buono: le purghe staliniane iniziano a fare le prime vittime. Il dubbio di essere caduto dentro le fauci del lupo comincia a farsi sempre più spazio nella sua mente. Ne parla con Nella. Comunica alla ragazza di aver infine deciso di recarsi all’Ambasciata Italiana per chiedere il passaporto. Nella sa che è un grande rischio, ma Emilio non può davvero fare altro.

È giorno. Emilio entra nell’edificio dell’Ambasciata Italiana a Mosca. Il funzionario fascista che si trova di fronte sarebbe ben disposto ad aiutarlo a lasciare l’Urss, a patto che lui rientrando in Italia denunci le storture del sistema sovietico. Ma Emilio non ci pensa nemmeno a lasciarsi indottrinare... Si volta e va via.

È la notte del primo gennaio 1935. Mentre Emilio dorme nel suo giaciglio all’ostello, irrompono gli agenti dell’nkvd, che lo arrestano e lo caricano su un’auto, portandolo agli uffici della polizia segreta. Qui, Emilio si ritrova al cospetto di Poliakov, che apre il voluminoso dossier sul ragazzo, e inizia a interrogarlo...

...Ora è giorno. Poliakov è in maniche di camicia. Nella stanza invasa dal fumo ci sono anche i due aguzzini visti all’inizio della nostra storia. Emilio, su una sedia col capo chino, è ridotto a una maschera di sangue. Su un tavolinetto campeggiano sinistri un manganello, un paio di pinze e altri strumenti di tortura. Poliakov, si accende l’ennesima sigaretta. Prende dalla scrivania una copia della “Gazzetta del Popolo” e la sventola sotto il naso di Emilio. Di nuovo vuole sapere perché ha conservato e diffuso, con la complicità del fratello Mario, stampa fascista in terra sovietica. Emilio non ne può più, pur ridotto in quelle condizioni grida con ostinato coraggio la sua innocenza: quel giornale gli serviva soltanto per far conoscere le bugie diffuse dal regime mussoliniano. Poliakov annuisce stancamente, poi lancia un’occhiata ai due aguzzini, e con un gesto ordina loro di portarlo via.

Emilio resta in carcere tre mesi. Non è solo, molti altri compagni italiani che già conosce condividono la sua stessa sorte. Tra questi, Emilio ritrova anche il compagno Pionati. Il casaro si scusa con lui: allontanarlo è stato un gesto vigliacco e, quel che è peggio, non è servito a nulla.

(*) Fine prima parte

Aggiornato il 30 luglio 2025 alle ore 09:34