
Se posizionassimo una telecamera su un drone e sorvolassimo in lungo e in largo le strade delle maggiori città europee avremmo la giusta dimensione di quanto il paesaggio umano e sociale sia cambiato rispetto solo a trenta o quarant’anni addietro. A quel filmato potremmo aggiungere un sonoro tratto da un testo scritto dallo storico Walter Laqueur, il quale, dopo un viaggio nelle capitali del Vecchio Continente, annotò che: “Per le strade di Londra, Parigi, Berlino, Milano, Roma, si possono trovare suoni del Cairo, colpi d’occhio di Karachi o di Dacca, di Tunisi o di Algeri. Si vedono le donne vestite di nero e il loro hijab, i macellai halal, i locali di kebab e quelli di couscous, mentre molti cartelli risultano a noi incomprensibili a meno che non decidiamo di andare a studiare in massa in una scuola orientale”.
È inutile continuare a negarlo, l’Europa si trova ad essere progressivamente coinvolta in una vera e propria rivoluzione epocale destinata a produrre profondi sconvolgimenti politici, culturali e civili nella carne viva della società.
Fra i tanti mutamenti con cui l’Ue è chiamata a fare i conti quello rappresentato dal fenomeno immigratorio è sicuramente il più difficile da affrontare. Attualmente la popolazione musulmana nell’Unione (più quella registrata in Gran Bretagna) è di circa ventisei milioni. Secondo le proiezioni elaborate dai ricercatori del Pew Research Center nel 2050 la cifra potrebbe fermarsi a 36 milioni qualora le frontiere venissero rigidamente controllate, mentre si potrebbero raggiungere numeri intorno ai 75-76 milioni se si continuasse con le attuali politiche permissive. Che fare?
In primo luogo, occorre prendere atto che le strategie seguite fin qui hanno prodotto solo fallimenti. Tutto ciò si è verificato sia con il multiculturalismo seguito dalla Gran Bretagna che con la scelta dell’inclusione nazionale praticata dalla Francia, per tacere sulla devastante politica dei “porti aperti” incoraggiata dalla sinistra italiana.
Intanto, per individuare una strada che porti realisticamente verso un’inclusione pacifica di milioni d’immigrati è indispensabile partire da ciò che non si è mai stancato di ripetere Samuel Huntington (autore de Lo scontro di civiltà) secondo il quale: “Il problema per l’Occidente non è il fondamentalismo islamico, ma l’Islam in quanto tale, una civiltà diversa la cui popolazione è convinta della superiorità della propria cultura e ossessionata dallo scarso potere di cui dispone. Essi considerano il mondo occidentale arrogante, brutale e decadente. Da combattere”.
Del resto, le città del Vecchio Continente hanno conosciuto più volte negli anni scorsi la ferocia del jihadismo, mentre sullo sfondo regnava sovrano il silenzio delle comunità islamiche presenti nelle stesse città.
Il timore è che sulla violenza islamista l’establishment politico-culturale europeo possa ripetere gli errori commessi nei primi anni ’30, quando venne sottovalutato il nazionalsocialismo e il suo furore antidemocratico e antisemita.
Si spera che la cecità del passato non abbia a ripetersi e che nel decidere quale strategia adottare per far sì che si raggiunga una pacifica convivenza si parta da un dato di realtà non negoziabile: l’Europa crede nei diritti di libertà, nel pluralismo dei valori e nella divisione fra la sfera religiosa e la sfera dello Stato. Coloro che intendono diventare cittadini europei non possono non riconoscere l’importanza e la validità di tali principii e vivere di conseguenza. Chi non ci sta che sia accompagnato alla porta.
La posta in gioco è molto alta e riguarda il futuro della democrazia liberale e del nostro modo di vivere. Il resto è pura demagogia.
Aggiornato il 10 luglio 2025 alle ore 11:21