
Nei giorni scorsi Massimo D’Alema è venuto di nuovo a galla, in attesa di nuovi cortei dei ricercatori-non di pace, ma di un colpevole che si prenda carico di tutti i mali del mondo. Americani e israeliani sono perfetti per finire sulla croce degli odiatori, già molto prima di Benjamin Netanyahu e Donald Trump. Il Giardino dei Semplici globale è pieno di botoli sempre pronti a mordere il primo postino che passa. La comunicazione ci mette in mezzo tra due gang: quella dei capitalisti mediatici che fabbricano falsità, e quella dei politici ipocriti per loro convenienza. La gran parte dei falsari e degli ipocriti non dice nulla sui Janjawid sudanesi, sostenuti dalla Russia con la ex milizia Wagner, che hanno fatto scavare agli abitanti di un villaggio una grande buca, dove poi li hanno buttati dentro, per seppellirli vivi con una ruspa.
Qualcuno ha organizzato un corteo per questo misfatto?
D’Alema ormai non sfila più: va a Otto e Mezzo, trasmissione che a volte raggiunge le vette della farsa e altre quelle della diabolica confusione; è tornato con le sue frasi apodittiche e apocalittiche, che non ammettono repliche. Maurizio Crippa, ne cita due: “Se l’Iran avesse già la bomba atomica, non ci sarebbe la guerra”, e “I regimi non si cambiano con le bombe”. Infatti Hitler è stato sconfitto dalle sfilate guidate da Bonelli e la Schlein, mica dai B-52...
Con D’Alema ho avuto a che fare in maniera indiretta. Era credo il 2006, poco dopo la infausta passeggiata di D’Alema nel centro di Beirut, a braccetto con un deputato di Hezbollah, tale Hussein Haji Hassam. Avevo scritto un articolo per L’Opinione sulla missione Unifil italiana. Il giorno dopo venne pubblicato. Verso mezzogiorno uscii di casa, per andare a prendere mio figlio a scuola. Rientrando in moto, squillò il telefono. Volevo andare avanti, poi pensai che era per lavoro e fermai la moto.
Risposi, e sentii una voce inconfondibile: “Buongiorno, sono Francesco Cossiga, vorrei fare una dichiarazione su D’Alema”. Dissi: “Buongiorno, Presidente. Mi scusi, ma sono andato a prendere mio figlio a scuola e stiamo rientrando a casa... Può chiamarmi tra un quarto d’ora?”. Fu la conversazione telefonica più surreale che mi sia capitata. E mi richiamò. Nel pomeriggio inviai il pezzo in redazione. Mi richiamarono subito, chiedendomi preoccupati: “Hai registrato l’intervista? Sai, possono scoppiare guai e polemiche tra lui e D’Alema...”. Risposi di no, perché rientrando in casa ero già stato richiamato dall’ufficio del Senato, e avevo solo potuto afferrare penna e carta sulla scrivania, mentre iniziava il torrente in piena, tipico di Cossiga.
Poi D’Alema fu invischiato in qualche vicenda poco di sinistra, come quella dello yacht Ikarus, o quella di un paio di scarpe fatte a mano, certo più care di un chilo di rave e fave.
Per non parlare dell’Italia in guerra, con gli aerei italiano-dalemiani che bombardavano la Serbia, e della business idea della vendita di navi militari (Riarm Colombia sì, riarm difensivo europeo no), con perquisizioni e inchiesta archiviata, perché per il Gip si era trattato di un business legittimo, inclusi gli 80 milioni di commissioni, nel caso l’affare fosse andato in porto.
Ecco, il Partito democratico della segretaria Elly Schein avrebbe proprio bisogno di D’Alema, per far quadrare la linea frattale in cui si dibatte come un ago nel pagliaio. D’Alema sì che darebbe una linea, invece di un arzigogolo: meglio vivere da lemming che da ignavi. Ci vorrebbe un Cossiga per mettere a posto D’Alema e la plaza de toros del Colosseo televisivo? Per ora accontentiamoci di una fondamentale frase di Ennio Flaiano: “In Italia la linea più breve tra due punti non è la retta ma l’arabesco”.
Aggiornato il 20 giugno 2025 alle ore 16:00