L’inutile bagarre sulla Riforma della Giustizia

Ieri, nella giornata di avvio del dibattito a palazzo Madama sulla riforma della giustizia abbiamo assistito alla solita bagarre della sinistra con una seduta aperta alle 10 del mattino e conclusa alle 18 di sera, che ha visto 55 interventi tra i componenti del Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle, Italia Viva e Alleanza Verdi e Sinistra in un susseguirsi di accuse paradossali. Come quella lanciata da Walter Verini che ha sostenuto che “la prima a chiedere la separazione delle carriere fu la P2”, o come quella paventata dalle file dei 5Stelle che bollano la riforma come una sorta di vendetta contro la magistratura, fino ad arrivare a Ilaria Cucchi e Peppe De Cristofaro che hanno dichiarato: “Vogliono assoggettare i Pm all’Esecutivo”. Tutto ciò condito con l’intento di richiamare alla “loro” causa Falcone e Borsellino.

Il Guardasigilli Nordio taglia corto e, nell’intervista rilasciata oggi al direttore de Il Tempo Tommaso Cerno, respinge le accuse di mancanza di confronto sottolineando come gli interventi ascoltati al Senato sono stati da una parte motivati razionalmente mentre, dall’altra, “contraddistinti da una volontà ostruzionistica”.

“Parliamo di una riforma voluta dagli elettori – dichiara il ministro della Giustizia – era nel nostro programma e ruota attorno alla ricomposizione del Csm, all’istituzione dell’Alta Corte di Giustizia e appunto alla separazione delle carriere”.

Sulla mancanza di confronto additata dalle file dell’opposizione interviene anche il presidente della Commissione Affari Costituzionali Alberto Balboni (Fratelli d’Italia), che ricorda le “32 sedute di Commissione, 6 di Ufficio di Presidenza, 29 audizioni e la discussione generale sia andata avanti per 6 sedute con 27 interventi” svolte dopo il 29 gennaio, data di incardinamento del ddl.

La maggioranza punta a usare lo strumento del “canguro” per limitare l’ostruzionismo in Commissione e arrivare al voto definitivo tra il 25 e 26 giugno. Successivamente il testo tornerà alla Camera e poi al Senato per la seconda lettura, con l’obiettivo di chiudere l’iter entro l’anno. Il referendum costituzionale potrebbe essere convocato nella primavera 2026.

Un’ennesima dimostrazione di cosa è disposta a fare l’opposizione pur di mantenere inalterato un sistema di potere che non funziona.

Aggiornato il 19 giugno 2025 alle ore 15:25