
A percorrere l’intero spettro politico occupato dalle diverse formazioni protagoniste della storia del nostro Paese, dall’Unità ai giorni nostri, troviamo partiti moderati, gruppi reazionari, movimenti massimalisti o riformisti, ma mai un partito che si definisca conservatore e che rivendichi senza imbarazzo alcuno il ruolo di difensore di valori e tradizioni che rappresentano la bussola del pensiero conservatore in tutte le democrazie occidentali.
Il risultato finale di una tale assenza non poteva non produrre una serie di ricadute negative sullo svolgimento della vita pubblica. Si pensi all’incertezza in cui continua a trovarsi ancora oggi gran parte della classe politica nell’assumere posizioni definite e chiare in difesa della nostra identità storica, culturale e religiosa rispetto al fenomeno dell’immigrazione. Si sa che per comprendere le ragioni del presente occorra conoscere i motivi del passato e, nella fattispecie, le dinamiche attraverso le quali si è giunti all’Unità d’Italia. A tal proposito, resta un punto di riferimento l’analisi (datata 1882) dell’accademico e politico Ruggiero Bonghi quando, dopo avere ricordato il carattere rivoluzionario con il quale nasce lo Stato unitario, scrive che “il partito moderato e liberale non ha potuto e talora non ha voluto essere un partito conservatore. Esso ha avuto davanti agli occhi unicamente un fine solo: quello di costituire l’Italia. Nel costituirla non si può affermare che abbia avuto continuo riguardo ai diritti acquisiti, alle abitudini antiche, agli interessi legittimi, alla coscienza religiosa concreta della cittadinanza. Dove di proposito, dove per necessità di cose, ha trascurato tutto quello il cui diligente rispetto è la norma e la forza di un partito conservatore”.
Lo storico Gaetano Arfé, partendo dalle osservazioni dell’esponente della destra storica, rintraccia il seme da cui scaturisce un’altra anomalia del sistema politico italiano ovvero l’incapacità del partito socialista di strutturarsi in termini riformisti, finendo con il lasciare campo libero (dal congresso di Reggio Emilia del 1912 in avanti) alla corrente massimalista e anti-sistema. La qual cosa inciderà negativamente sulle scelte della sinistra per tutto il Novecento con ripercussioni presenti tuttora. In tal modo, si gettano le basi culturali dei tre regimi politici conosciuti dal 1861in poi – liberale, fascista e repubblicano – durante i quali nessun partito dichiara apertamente di essere conservatore né alcuna forza si accredita come portatrice di un moderno riformismo.
Chiarite le motivazioni di ordine storico, non è azzardato affermare che gli ostacoli fin qui descritti non abbiano più nell’area moderata i motivi d’essere di un tempo e che la strada per la costituzione di un partito conservatore e liberale, a fronte della persistenza di alcune divisioni, appartenga al campo delle scelte necessarie per rendere più moderno il nostro sistema politico.
In tal senso, è inutile ribadire che molto dipenderà dalla capacità e dalla lungimiranza delle attuali leadership.
Resta sul tappeto quella che Arfè indica come l’anomalia della sinistra: il massimalismo. Parafrasando una commedia di Eduardo De Filippo è proprio il caso di dire che in Italia le “anomalie non finiscono mai”.
Aggiornato il 26 maggio 2025 alle ore 10:24