
Prosegue il cammino del Disegno di legge del Governo al fine di reintrodurre in Italia la produzione di energia nucleare, avviando, in tal modo, anche la transizione ecologica. Il progetto esclude la possibilità di ricorrere alla costruzione di impianti di grandi dimensioni, ma focalizza l’attenzione sugli Small modular reactor (Smr) e sui reattori di quarta generazione (Advaced modular reactor, Amr). I primi sono strutture considerate dagli scienziati ad alta flessibilità e sicurezza, mentre gli Amr consentono di bruciare, altresì, le scorie radioattive. Il Piano nazionale per l’energia prevede che le centrali possano entrare in attività entro il 2030. Tutto ciò dovrebbe rassicurarci sul nostro futuro energetico, ma l’accidentata storia del nucleare nel nostro Paese ci porta ad applicare un sano principio di cautela. Infatti, non sembrano scomparsi i pregiudizi che hanno paralizzato nei decenni scorsi ogni iniziativa messa in campo.
Finora, una funzione frenante è stata svolta, purtroppo con successo, da un’alleanza perversa stipulata fra gli ambientalisti-catastrofisti (una sorta di “bimbi viziati”, per dirla con José Ortega y Gasset, che tutto pretendono senza nulla dare) e una parte della classe politica, che per motivi di opportunismo elettorale ai “bimbi viziati” le ha date tutte vinte assecondando, quando non addirittura alimentando, le loro fobie irrazionali. Due anomalie che hanno trovato terreno favorevole per la loro diffusione nell’ignoranza scientifica che ha sempre contraddistinto, per larga parte, la classe dirigente italiana. Si è trattato di un combinato disposto che ha contribuito a far sì che il nostro Paese diventasse il più debole e il meno autonomo sul terreno energetico fra le potenze economiche. Aveva inteso la portata negativa di tutto questo già settant’anni or sono il padre del nucleare italiano, Felice Ippolito, quando scriveva nel suo diario (reduce da estenuanti incontri con i ministri dell’epoca) che “chi deve decidere non riesce a comprendere che attraverso il nucleare possiamo rendere autonome le attività industriali e tecnologiche dell’Italia e consentire altresì allo Stato di essere credibile e di farsi valere negli organismi internazionali”.
La caparbietà dell’ingegnere napoletano fece sì che le centrali venissero costruite, ma il progetto non decollò mai del tutto anche perché, accusato di reati amministrativi, Ippolito finì in carcere. Il colpo di grazia giunse nel 1987, quando, complice la psicosi generale alimentata dall’incidente avvenuto a Chernobyl, venne liquidato, via referendum, ogni tentativo di dare all’Italia la possibilità di avere centrali atomiche a scopo civile. Nel 2011, per mezzo di un altro referendum, il sogno nucleare venne definitivamente tumulato. Talché un grande Paese industriale come il nostro si trovò a dipendere dai capricci del dittatore di turno. Abbiamo dovuto attendere l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia per avere contezza di quanto sia rischioso per l’economia di un Paese industrialmente avanzato non potere contare su un buon livello di autonomia nella produzione di energia. Le conseguenze in termini di costi sono sotto gli occhi di tutti.
Oggi si cerca responsabilmente di invertire la rotta. Guardando al passato e ai guasti compiuti dal tridente bimbi viziati-politici opportunisti-diffusa ignoranza scientifica c’è di che incrociare le dita.
Aggiornato il 05 maggio 2025 alle ore 10:26