Partigiani comunisti e uccisioni nel Dopoguerra

Sulla mancata nazionalizzazione del 25 aprile molto si è discusso nelle scorse settimane avanzando spiegazioni il più delle volte frutto di convinzioni ideologiche assai lontane dalla dimensione fattuale. Nulla o quasi è stato scritto sul capitolo più doloroso della “guerra di classe” segnato, all’indomani della Liberazione, da una spietata caccia all’uomo condotta dai partigiani comunisti. Fu scatenato il terrore per molti mesi in gran parte dell’Alta Italia (si raggiunse il culmine in Emilia-Romagna nel perimetro compreso fra Bologna, Modena e Reggio Emilia). Furono passati per le armi insieme a ex militanti del ventennio fascista molti cittadini comuni, professionisti e piccoli proprietari di terre, per il semplice motivo che non si riconoscevano nel disegno politico del Partito comunista. Non è mai stato possibile fare un calcolo preciso del numero delle vittime. Secondo lo storico Denis Mack Smith non è sbagliato dire che a cadere furono almeno in ventimila.

Fra loro vi furono più di cento sacerdoti come Don Giuseppe Iemmi, Don Carlo Terenziani, Don Umberto Pessina. Si tratta di un capitolo della nostra storia trascurato per molti decenni da una storiografia volutamente “distratta”. Infatti, abbiamo dovuto attendere il 1995 perché uno studioso quale Pietro Scoppola ammettesse che “ciò che accadde nel Dopoguerra si sapeva, ma è stato coperto da un silenzio prudente… dietro quelle stragi vi era il nodo ancora non risolto in casa comunista fra la scelta della via pacifica per la conquista del potere e il ricorso alla lotta armata per ottenerlo”. Un’ambiguità che trova conferma all’indomani del crollo dell’Urss grazie all’apertura degli archivi moscoviti. Da quella documentazione abbiamo appreso che a guerra ormai conclusa, il 31 maggio 1945, Palmiro Togliatti incontrò l’ambasciatore sovietico in Italia, Michail Kostylev, per informarlo su quanto stesse accadendo nelle regioni del Nord. Kostylev a sua volta trasmise le informazioni ricevute al Cremlino. Egli comunicò che “nel Nord Italia i partigiani hanno organizzato un vero e proprio partito popolare.

Non sappiamo ancora quanti fascisti sono stati uccisi, ma siamo comunque nell’ordine di decine di migliaia”. Parole feroci sono quelle che il sindaco di Novara, Carlo Moscatelli, affidò allo stesso Kostylev il 13 giugno 1945. Moscatelli riferì che “nella sua provincia mentre i processi regolari vanno a rilento, i comunisti di loro iniziativa organizzano visite notturne clandestine nelle case dei collaborazionisti e li eliminano”. Esecuzioni sommarie di questo genere andranno avanti almeno per tutto il 1946. Ventidue anni or sono, quando Giampaolo Pansa pubblicò Il sangue dei vinti, raccontando senza i timori degli storici accademici i crimini perpetrati dopo il 1945 dai partigiani comunisti, ricevette accuse di ogni genere dalla cosiddetta intellighenzia di sinistra né fu facile per Pansa presentare il libro in alcune città. Il “popolo dei democratici” glielo impedì fisicamente. La nazionalizzazione del 25 aprile potrà essere possibile solo il giorno in cui si avrà il coraggio di squarciare definitivamente il velo di omertà che ha coperto fin qui una delle pagine più oscure della Resistenza.

Aggiornato il 02 maggio 2025 alle ore 10:45