Buon senso, pragmatismo e stabilità finanziaria. Termini che hanno prevalso su tutto al vertice Ue sugli aiuti all’Ucraina. Ma soprattutto, ha prevalso la determinazione a proseguire il sostegno a Kiev. Bocciata, invece, è stata la linea indicata da Ursula von der Leyen e Friedrich Merz, che da giorni spingevano per l’utilizzo diretto degli asset russi congelati. A riassumere lo spirito – e le tensioni – della riunione è stata la premier danese Mette Frederiksen, che in conferenza stampa ha commentato le conclusioni sull’Ucraina, sostenute da 25 Stati membri, con l’astensione di Ungheria e Slovacchia. “Finché siamo in grado di prendere le decisioni necessarie, siamo uniti. Oggi abbiamo un buon esempio del fatto che, quando qualcosa è necessario, siamo in grado di agire. Allo stesso tempo, però, dobbiamo dire che molti governi e leader sono sottoposti a una pressione crescente nei dibattiti politici nazionali, nei parlamenti e così via. Purtroppo la situazione in Europa sta cambiando, e devo dire che questo è ciò che Vladimir Putin spera”. Frederiksen ha poi aggiunto un monito sui rischi di logoramento interno: “La combinazione di una sorta di stanchezza da guerra con la guerra ibrida che grava pesantemente sulle nazioni e crea insicurezza nelle nostre società – ha aggiunto – questo è ciò che ha pianificato, quindi dobbiamo restare uniti e fare ciò che è necessario”.
Dopo una delle trattative più complesse degli ultimi anni, l’Unione europea ha optato per una soluzione condivisa, garantendo a Kiev un sostegno finanziario da 90 miliardi per il biennio 2026-2027 attraverso un prestito finanziato con debito comune. “Ha prevalso il buon senso”, ha dichiarato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che fino all’ultima ora aveva frenato sulla proposta di ricorrere agli asset di Mosca. Soddisfazione è arrivata anche da Kiev. In un post su X, Volodymyr Zelensky ha scritto: “Sono grato a tutti i leader dell’Unione europea per la decisione del Consiglio europeo di stanziare 90 miliardi di euro di aiuti finanziari all’Ucraina nel periodo 2026-2027. Si tratta di un sostegno significativo che rafforza davvero la nostra resilienza”. E ancora: “È importante che i beni russi rimangano immobilizzati – prosegue – e che l’Ucraina abbia ricevuto una garanzia di sicurezza finanziaria per i prossimi anni. Grazie per il risultato raggiunto e per l’unità dimostrata. Insieme stiamo difendendo il futuro del Continente”.
Dietro le quinte, nel corso delle ore più riservate del vertice, la Commissione europea e il Belgio hanno tentato fino all’ultimo di individuare un compromesso giuridicamente sostenibile sull’utilizzo degli asset russi. Ma con l’arrivo della cena istituzionale è emerso con chiarezza che quel percorso non avrebbe trovato sbocchi. Il premier belga Bart De Wever ha mantenuto una linea di prudenza, mentre Italia, Bulgaria, Malta e Repubblica Ceca non hanno sciolto le loro perplessità. Parallelamente, Viktor Orbán e Robert Fico hanno continuato a manovrare per far deragliare un accordo che avrebbe irritato Mosca. Così, la pressione politica esercitata da Merz e von der Leyen si è progressivamente sgonfiata.
A quel punto si è imposto il cosiddetto piano B: un prestito da 90 miliardi finanziato sul mercato dei capitali e garantito dal Qfp, il bilancio pluriennale dell’Ue. Una scelta che richiedeva l’unanimità. Ed è qui che si è materializzato il secondo snodo della notte: Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria hanno accettato di votare a favore, a condizione di poter usufruire dell’opt-out, ossia della facoltà di non partecipare al prestito destinato a Kiev. La riunione conclusiva, convocata a tarda notte, è durata meno di un’ora. Tutto era ormai allineato. “Se sai fare il tuo lavoro, e parli con le persone, si può arrivare ad un accordo. Mi sono preparato, ho parlato con molte persone, anche se non si svelano i segreti del mestiere”, ha osservato con un sorriso De Wever. I beni russi congelati resteranno bloccati fino a quando Mosca non avrà versato i risarcimenti dovuti all’Ucraina. E se ciò non dovesse accadere, l’Ue si riserva – in conformità al diritto internazionale – di ricorrere a quelle stesse risorse per garantire il rimborso del prestito. Meloni ha definito l’intesa “una soluzione solida dal punto di vista giuridico e finanziario”, lasciando trasparire la fatica accumulata in una maratona negoziale che pochi, alla vigilia, ritenevano potesse concludersi con un unanimismo quasi inatteso. Bruxelles ha vissuto una delle sue notti più lunghe, ma anche una delle più rivelatrici della fragilità e, al contempo, della tenuta dell’Unione.
Aggiornato il 19 dicembre 2025 alle ore 10:18
