La disobbedienza dei governatori che fa tremare il Cremlino

Da quando ha avviato l’invasione su vasta scala dell’Ucraina nel febbraio 2022, Vladimir Putin ha concentrato quasi tutte le sue energie sulla guerra, pur cercando di mantenere l’immagine di leader onnipresente e pienamente padrone della situazione interna. Per questo continua a convocare governatori e funzionari regionali in riunioni in videocollegamento, durante le quali assegna compiti specifici basati su analisi dettagliate delle condizioni di ogni oblast. Tuttavia, secondo un’inchiesta del portale investigativo Vyorstka, oltre la metà di questi ordini non viene eseguita. I governatori semplicemente li ignorano e, fatto ancor più significativo, la popolazione se ne rende conto. Il risultato è un progressivo logoramento dell’autorità presidenziale: poiché Putin non punisce chi lo disattende né premia chi segue le direttive, molti dirigenti regionali si sentono liberi di portare avanti agende proprie. Nel tentativo di rafforzare il controllo, il Cremlino ha introdotto negli ultimi anni meccanismi alternativi: indicatori di performance più rigidi, nuove responsabilità penali, vincoli finanziari severi, una scuola per governatori e una selezione dei candidati sempre più ristretta.

Misure pensate per disciplinare la periferia, ma che hanno prodotto risultati frammentari e talvolta contrari alle intenzioni. Oggi il comportamento dei soggetti federali è molto più vario di quanto appaia e questa diversificazione potrebbe influire in modo decisivo sulla futura lotta per la successione. Non è un caso che Aleksandr Kharichev, principale sociologo politico del Cremlino, abbia inserito la crisi del controllo sui governatori tra i cinque problemi più gravi che il sistema putiniano deve affrontare, insieme alla possibilità che la Russia possa trovarsi esposta in futuro a tensioni interne fino al rischio di una guerra civile. Il messaggio implicito è chiaro: la catena di comando tra centro e regioni sta cedendo. Durante i primi ventidue anni al potere, Putin era riuscito a ridimensionare drasticamente l’autonomia dei governatori. Aveva trasformato la carica da elettiva a nominativa, spesso scegliendo figure esterne ai territori; aveva creato percorsi di formazione controllati, limitato fortemente il bacino di reclutamento e avviato procedimenti penali contro molti dirigenti locali. Questa strategia aveva consolidato la verticalità del potere. Ma non è riuscito a trasformare tutte le figure regionali in semplici ingranaggi.

Non solo casi particolari come Ramzan Kadyrov in Cecenia o il nazionalista Georgij Filimonov nell’oblast di Vologda, ma molti dei più di ottanta governatori hanno mantenuto margini di autonomia. Prima del 2022 Putin seguiva da vicino queste dinamiche; dopo l’invasione dell’Ucraina, invece, l’assorbimento totale nel conflitto ha lasciato maggior spazio di manovra alle regioni. Le riunioni in videocollegamento, pensate per ribadire il suo ruolo di supervisore onnisciente, sono diventate una vetrina del suo controllo indebolito. Il Cremlino conserva ancora la capacità di intervenire in modo puntuale e risolutivo quando una questione gli sta davvero a cuore, e questo resta un segno della forza personale di Putin. Tuttavia, per analisti come il politologo indipendente Aleksandr Kynyev, intervistato dal portale Horizontal Russia, i problemi potrebbero manifestarsi prima di quanto si pensi.

Le elezioni della Duma del 2026 e la necessità, entro il 2028, di un profondo ricambio nel ceto politico e imprenditoriale sia a Mosca sia nelle regioni costringeranno Putin a una scelta cruciale. Kynyev immagina due scenari: il primo è una “brežnevizzazione” del sistema, con il consolidamento degli attuali governatori e delle loro reti; il secondo è una vasta rotazione tecnocratica destinata a ringiovanire la classe dirigente. Entrambe le opzioni comportano rischi considerevoli. Nel primo caso verrebbero penalizzati i quadri nati negli anni ‘80, ai quali verrebbe impedito l’avanzamento sociale; nel secondo si genererebbe il malcontento dei nati negli anni Settanta, che vivrebbero una possibile estromissione come un tradimento dopo anni di lealtà. Qualunque strada venga scelta, le reazioni potrebbero essere forti, costringendo Putin a tornare a concentrarsi sulle questioni interne o a ricorrere a un’ulteriore intensificazione della repressione. I governatori, ormai abituati a un sistema in cui il presidente è più proiettato sulla guerra che sulla politica interna, sarebbero tra i primi a sentirsi minacciati e dunque tra i primi a reagire. Proprio loro, un tempo pilastro della “verticale del potere”, potrebbero diventare uno dei punti più fragili del sistema putiniano nei prossimi anni.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza

Aggiornato il 19 novembre 2025 alle ore 10:41