Di fronte alla crescente minaccia di attacchi militari statunitensi, Nicolás Maduro ha deciso di rivolgersi ai suoi alleati tradizionali per chiedere sostegno, ma le sue speranze di ricevere un aiuto concreto dalla Russia sembrano deboli. Da mesi Caracas è nel mirino di Washington: dal momento in cui Donald Trump ha ordinato il dispiegamento di navi da guerra al largo delle coste venezuelane, gli Stati Uniti hanno autorizzato operazioni mirate contro presunti traffici di droga e attività della Cia all’interno del Paese, con l’obiettivo implicito, se non dichiarato, di rimuovere l’autocrate venezuelano dal potere. Messo alle strette, Maduro ha chiesto a Cina, Iran e soprattutto Russia di fornire missili, droni, radar e altri strumenti militari in grado di rafforzare la difesa del suo regime. Tuttavia, la Russia – che pure rappresenta da oltre vent’anni il principale partner strategico del Venezuela – oggi si trova in una condizione economica e politica tale da non poter offrire più di qualche gesto simbolico. Dai tempi di Hugo Chávez, Mosca è stata un alleato fondamentale per Caracas, fornendo armi, finanziamenti e investimenti nel settore energetico in cambio di influenza geopolitica nel cuore del continente americano. L’obiettivo del Cremlino, più che economico, è sempre stato politico: consolidare una presenza in America Latina e sfidare l’egemonia statunitense nel proprio emisfero.
Nonostante le perdite economiche registrate dalle compagnie petrolifere russe – che non sono riuscite a recuperare i miliardi investiti nel settore venezuelano – la prospettiva di accedere a enormi riserve di petrolio e gas ha continuato a legare Mosca a Caracas. Tuttavia, dopo l’invasione dell’Ucraina, le priorità della Russia sono cambiate. La guerra ha assorbito la gran parte delle risorse economiche e militari del Cremlino, riducendo drasticamente la capacità di Mosca di proiettare influenza lontano dai propri confini. Negli ultimi anni i contatti militari tra i due Paesi sono proseguiti, ma in forma ridotta: alcuni scambi diplomatici, esercitazioni simboliche e perfino la produzione locale di munizioni per armi russe sono serviti più a mantenere l’immagine di un’alleanza solida che a rafforzarla realmente. La Russia, in passato, aveva dimostrato disponibilità a intervenire con forza: basti ricordare l’invio di bombardieri strategici Tu-160 nel 2018 o il dispiegamento del sistema missilistico S-300 nel 2019 per difendere Maduro dalle pressioni internazionali. Oggi, però, lo scenario è diverso.
L’impegno in Ucraina e la crescente dipendenza economica e militare di Mosca da Cina, Iran e Corea del Nord limitano fortemente la possibilità di fornire supporto effettivo a Caracas. Anche i rapporti commerciali testimoniano il declino: nel 2024 gli scambi tra i due Paesi si sono fermati a 1,2 miliardi di dollari, una cifra minima se confrontata con i rapporti che la Russia intrattiene con Brasile o Messico. L’esperienza recente della Siria offre a Maduro un avvertimento chiaro. La Russia, che con il suo intervento nel 2015 aveva salvato il regime di Bashar al-Assad, ha progressivamente ridotto il suo impegno dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, lasciando Damasco esposto fino al collasso del regime nel dicembre 2024. Questo episodio ha eroso la credibilità di Mosca come alleato affidabile, evidenziando che le promesse del Cremlino non sempre si traducono in aiuti concreti. È quindi probabile che, anche nel caso di un attacco statunitense contro il Venezuela, Vladimir Putin si limiti a condanne verbali e dichiarazioni di principio, senza intraprendere azioni reali.
In effetti, come dimostrato dai recenti attacchi americani contro l’Iran, la Russia tende a sfruttare tali crisi come distrazioni utili per alleggerire la pressione internazionale sulla propria guerra, piuttosto che come occasioni per intervenire in difesa dei propri partner. Nonostante i limiti materiali, Putin continuerà a utilizzare il Venezuela come palcoscenico propagandistico per ribadire il suo ruolo di difensore delle autarchie antioccidentali. Non è escluso che torni a minacciare, almeno a parole, la possibilità di dispiegare armi nucleari a Cuba o in Venezuela, una mossa che gli consentirebbe di mostrarsi come attore globale senza dover sostenere i costi di un vero intervento. Ma dietro la retorica e le dichiarazioni roboanti, resta la realtà di un Paese – la Russia – stretto tra sanzioni, stagnazione economica e una guerra logorante in Europa orientale. Maduro, quindi, non dovrebbe aspettarsi molto: il sostegno russo, oggi, è più un’illusione diplomatica che una garanzia di sopravvivenza.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
Aggiornato il 05 novembre 2025 alle ore 10:34
