Missili per regalo
Parliamo oggi dell’agonia del Venezuela, ovvero dell’ennesimo capolavoro del socialismo chavista, pauperista e populista. Certo, lo scontro tra Nicolás Maduro e “Re” Donald Trump non può che finire in tragedia per il dittatore di Caracas, ormai difeso dai più impresentabili leader progressisti occidentali. Il vero problema per l’America, semmai, è di estrometterlo con la forza dal potere (ottenuto a suon di brogli), rischiando lo scontro diretto con i suoi santi protettori di Russia e Cina, che traggono immensi benefici dal quel Paese fallito, sfruttandone a proprio vantaggio le immense risorse energetiche. Per il momento, così tanto per gradire, Trump ha dato ordine ai mastodontici bombardieri B-52 (affiancati da droni, aerei spia ed elicotteri d’attacco) di girare in tondo sulle coste del Venezuela, non troppo distanti dal principale aeroporto di Caracas, come per dire: “guarda Maduro che ci mettiamo un attimo a farti fare la fine dei siti nucleari iraniani” (senza spendere troppi soldi per far alzare in volo i bombardieri invisibili B-2). Poi, affinché le intenzioni siano sempre più chiare, gli Usa hanno schierato nella regione del Mar dei Caraibi all’incirca l’8 percento del loro potenziale navale, compresi otto navi da guerra, di cui alcune fregate lanciamissili, mezzi da sbarco e un sottomarino nucleare tipo “ready-to-combat”. Completano il quadro uno schieramento di all’incirca di diecimila soldati e uno squadrone di F-35. Forze limitate, tuttavia, queste ultime, che non preludono a un’invasione su larga scala, ma servono bensì come (esaustivo) deterrente contro i trafficanti di droga, e a esercitare maggiore pressione su Maduro affinché lasci il potere.
Comunque, rimane il fatto che le forze speciali americane sono in grado, in ogni momento, di entrare rapidamente in azione per ogni evenienza e colpire qualunque obiettivo, considerato strategico, all’interno del territorio venezuelano. Nelle scorse settimane, Trump ha dato un segnale inequivocabile della sua determinazione, ordinando l’affondamento di alcuni motoscafi veloci utilizzati dai narcos, che hanno causato qualche decina di vittime (non di certo innocenti) nei ranghi del crimine organizzato. Piuttosto che un attacco su larga scala, ciò che preme all’Amministrazione Usa è di fare pressione sugli esponenti del regime di Maduro per abbandonare a se stesso il dittatore, dimettendosi dagli incarichi e rifugiandosi all’estero, ovvero rischiare di essere neutralizzati o catturati dalle forze speciali americane. Data la ritrosità di Trump a rischiare le vite dei soldati americani, è probabile che saranno privilegiati attacchi incisivi con missili ad alta precisione, del tipo Cruise, lanciati dalle navi da guerra. Ovvio che la posta in gioco, dal punto di vista dell’America, riguardi le immense riserve petrolifere del Venezuela (le più estese del mondo, in pratica) e gli importanti giacimenti di oro, diamanti e coltan, quest’ultimo un minerale molto ricercato per il suo largo impiego nella manifattura di cellulari e computer. Eppure, fino al secolo scorso, il Venezuela è stato un fedele alleato dell’America, fino all’arrivo di Hugo Chavez, un ex ufficiale dell’esercito che realizzò la sua rivoluzione socialista “bolivariana”, rimanendo al potere dal 1999 al 2013, anno della sua morte. Nei suoi 14 anni a Palazzo Miraflores, Chavez ha portato il suo Paese ad allearsi con i più acerrimi nemici dell’Occidente, come Cina Russia e Iran.
Dopo di lui, in perfetta continuità, alla Presidenza del Venezuela si è insediato un suo fedelissimo, Nicolás Maduro, un ex conducente di autobus che si era formato a Cuba, e sul quale oggi grava una taglia di 50 milioni di dollari voluta da Washington, per le sue responsabilità nel favorire il narcotraffico verso il Nord America. Sotto pressione militare da parte delle forze Usa, Maduro e la sua cricca hanno reagito ordinando esercitazioni navali e cercando il sostegno delle opposizioni per fronteggiare una fantomatica invasione armata dei “gringos”. Intanto, i gerarchi del regime tengono spenti i cellulari, mentre hanno iniziato a dormire ogni notte in una località diversa, e rinnovato i ranghi cubani delle loro guardie del corpo. Ma, malgrado le gesture provocatorie del loro Capo, la verità è che le forze armate venezuelane versano in uno stato a dir poco comatoso, ben lungi da un impiego di pronto intervento, in caso di necessità, per fronteggiare un nemico esterno, dato che la maggior parte del loro equipaggiamento militare è fuori uso per mancanza di manutenzione o di parti di ricambio. I militari venezuelani hanno fama di duri, soltanto perché finora se la sono presa con civili disarmati, mentre Maduro ha sotto il suo diretto controllo una milizia irregolare di pretoriani forte di un milione di uomini, all’incirca, utilizzata per la repressione del dissenso ma che, nell’eventualità, può essere impiegata per opporsi a un’ipotetica incursione americana.
Più in generale, è difficile capire come funzioni davvero dall’interno il regime di Maduro, dato che in merito le voci raccolte dalla grande stampa internazionale sono del tutto discordanti. C’è, ad esempio chi sostiene che i chavisti siano a un passo dal collasso, pronti in ogni momento a rimuovere il loro scomodo leader, mentre all’opposto altri ancora evidenziano come il Governo chavista sia più che mai saldo al potere e difficilmente si dividerà al suo interno. Intanto, dalla sua latitanza, la leader dell’opposizione e recente vincitrice del Premio Nobel, Maria Corina Machado, si prepara a ogni evenienza, qualora Maduro fosse costretto a rinunciare al potere, possibilmente a seguito di un colpo di mano da parte dei militari. Ma se così fosse, questo potrebbe non bastare a Trump, che ha intenzione di liberarsi una volta per tutte del chavismo, per poi insediare Machado alla Presidenza del Venezuela. E non è detto poi che la decapitazione di Maduro non causi una vera e propria guerra civile, com’è accaduto in Libia e Iraq a seguito dell’intervento americano, dato che se gli yankee dovessero calcare la mano con i venezuelani, potrebbero alla fine ritrovarsi con un regime ancora più radicale di quello di Chavez-Maduro. Comunque sia, una cosa è certa: la messa in allerta dell’esercito e delle forze armate americane nei Caraibi non può durare in eterno. Infatti, maggiore è il loro tempo di permanenza, più aumentano i rischi di un incidente di percorso nella stagione degli uragani. D’altro canto, osserva Financial Times, dato che Trump se ne guarda bene di fare riferimento a elezioni, diritti dell’opposizione e democrazia, gli sarà molto facile indicare come “vincitore” chi più gli aggrada. Perché, come ogni showman che si rispetti, “Re Donald” adora i fuochi d’artificio.
Aggiornato il 24 ottobre 2025 alle ore 10:32
