
Ci raccontano la storia del conflitto israelo-palestinese dimenticando che la partita è la stessa da almeno tre secoli, ovvero il controllo occidentale dell’area mediorientale; che volendo eredita le mosse delle corone europee che finanziavano le crociate. Israele è di fatto l’unico avamposto affidabile condiviso politicamente da Washington, Londra ed Europa che conta economicamente. Avamposto consolidato all’indomani della Seconda guerra mondiale, come ammortizzatore economico-sociale a seguito del tramonto del colonialismo.
Avamposto militare, economico e di cultura anglo-statunitense, e difficilmente Londra e Washington potranno consentire che questo presidio accetti condizionamenti. L’ulteriore carico di controllo israeliano del Mediterraneo è iniziato col tramonto della Turchia come alleato strategico per Usa e Gran Bretagna: la fine dell’idillio turco-occidentale è databile con la politica egemonica nell’area da parte di Erdogan, che sfociava nel colpo di Stato in Turchia del 2016.
Un fallito golpe militare messo in atto da una parte delle Forze armate turche appoggiate dall’intelligence anglo-statunitense. Erdogan non mollava il potere, di logica conseguenza Usa e Gran Bretagna davano il via libera ad una Grande Israele: Netanyahu corrisponde per autorità, autorevolezza e storia personale al leader ideale per Londra come per Washington. Netanyahu ha dalla sua l’appoggio delle origini: è nato a Varsavia col nome Bensyjon (Bencyjon) Milejkowski e poi ha cambiato il cognome in Netanyahu seguendo il processo di ebraizzazione dei cognomi; gode dell’appoggio d’influenti famiglie polacche sia in Europa che negli Usa, nuclei che hanno appoggiato sia i democratici che i repubblicani. La vulgata che corre nei salotti economici occidentali è che, senza Netanyahu il Medioriente sarebbe oggi tutto controllato da Ankara. Ovviamente il controllo dell’area viene assecondato da alcuni paesi islamici e contrastato da altri a fasi alterne: in questo gioco delle parti ha funzione strutturale la questione palestinese, che nessuno intende risolvere proprio per mantenere in piedi il gioco, l’eterna trattativa.
Quindi, analizzando dall’alto la questione emerge come la Global Sumud Flotilla si dimostri l’emblema del fallimento delle “missioni pacifiche e non violente di aiuto umanitario”: quarantasette imbarcazioni, yacht di grande valore sul mercato nautico, che dimostrano praticamente come la politica dell’aiuto piagnucoloso sia funzionale solo a permettere ad una sinistra decotta di rastrellare voti tra sognatori, truppe sindacalizzate, francescani e giovani creduloni. La questione mediorientale è religiosa ed etnica solo nella favoletta che racconta il potere ai popoli. Di fatto Usa e Gran Bretagna hanno affidato ad Israele il controllo dell’intera area mediterranea: le sinistre spagnole, italiane, francesi ed europee più in generale hanno risposto mandando delle barchette in mezzo al mare. Va dato atto che il centro-destra (di cui non si condividono tutte le mosse) ha tentato di sedersi al tavolo con i potenti della Terra per trattare su aree d’influenza mediterranee. E quando ci si siede a determinati tavoli necessita essere poco francescani e tanto pragmatici: soprattutto ben consci che attualmente nell’intero Pianeta sono in corso circa sessanta conflitti armati, il numero più alto dalla fine della Seconda guerra mondiale, e alla metà delle guerre non è possibile porre termine per accordi ferrei tra le potenze.
Sono conflitti che coinvolgendo direttamente o indirettamente (tra forniture d’armi, logistica, consulenze varie) circa la metà dei paesi della Terra. Oggi un importante focolaio bellico, di quelli che non si possono più spegnere, è in Europa: anzi sarebbe meglio dire sul confine di aree d’influenza europea e russo-turca. Quel confine che attraverso il Dnepr (fiume che passa da Kiev) porta fino al Mar Nero, spartiacque tra l’Europa sud-orientale e l’Asia minore. Per Usa e GB il posto giusto per un focolaio bellico nel cuore dell’Europa è lo scontro per l’egemonia sull’area e per l’accesso al Mediterraneo: terreno su cui si misurano da una parte l’Occidente a trazione Usa-GB e dall’altra l’accordo tra Turchia e Russia.
Ecco che il progetto occidentale di Grande Israele è funzionale a rafforzare il presidio angloamericano nel Medioriente e nel Mediterraneo. In quest’ottica si può meglio comprende come le ragioni di Zelensky siano un pretesto, altrettanto dicasi per la questione palestinese.
Certo le guerre hanno bisogno di manovalanza, che viene motivata da ideologie, finalità religiose, promesse di benessere. A conti fatti siamo a cospetto di due “campi di Marte” uno in Ucraina e l’altro a Gaza: il primo rimarrà fumante, per il secondo si potrebbero aprire trattative. Va detto che Israele, soprattutto dopo l’attentato a Manchester e l’innalzarsi delle tensioni in tutta Europa, conta sul fatto che è per sempre archiviata la storica proposta “due popoli due stati”: che prevedeva una pacifica convivenza tra ebrei e palestinesi. Quindi è archiviata la proposta dell’Onu del 29 novembre 1947, quando l’Assemblea Generale (Onu) adottava il “Piano di partizione della Palestina in due Stati”, uno arabo e l’altro ebraico con Gerusalemme che godeva di statuto particolare sotto l’egida Onu. Oggi Israele (Usa e GB) è per liberare totalmente i territori, ovvero attende che l’Onu pianifichi la diaspora dei palestinesi presenti a Gaza e non certo un debole corridoio umanitario: ovvero circa due milioni e mezzo tra uomini, donne e bambini che dovrebbero abbandonare il territorio.
Attualmente un milione di palestinesi si sono integrati nei paesi Arabi, e circa duecentomila sono migrati in America Latina, Europa e in Usa (dove ne vivrebbero più di centomila). Oggi l’unico modo per portare pace in Palestina, è amaro a dirsi, ma è favorire la diaspora. Ecco perché alla Global Sumud Flotilla, con il suo progetto di “corridoio umanitario”, non è stato dato modo d’interferire. È evidente che non siamo più negli anni ’70 del ‘900, e che la maggior parte delle nazioni oggi non voglia compromettersi nel riconoscere lo stato di Palestina.
Dalla metà del ‘900 il Mandato britannico della Palestina, detto anche “Palestina mandataria”, ha sostituito il protettorato di Francia e Regno Unito che subentravano alla fine dell’epopea coloniale. Oggi tutti evitano di compromettersi, aspettano il via libera per lo sgombero militare, la diaspora che di fatto peserà per grandi responsabilità su Londra e Washington. Nel frattempo, l’Europa in parte appoggia le flottiglie, credendo si tratti di un gioco tra ragazzi paragonabile al mandare i tesserati Cgil in piazza. Ma nessuno dice alla gente che è in gioco il controllo di Medioriente e Mediterraneo, che l’Italia non può essere altro che uno spettatore, anche pagante, perché al varo della diaspora dovrà assorbire circa due o trecentomila sfollati dalla Palestina.
Questo è il prezzo per chiudere il focolaio mediorientale, ben consci che probabilmente dovrà rimanere accesso il focolaio in Ucraina, come da accordi tra Trump e Putin. L’Ucraina che diventa un po’ come il Kashmir tra Cina e India, un piccolo focolaio bellico tra nazioni alleate nei Brics: del resto le vite umane rappresentano nella società odierna un costo sociale, ed in tempi di guerra un prezzo da pagare necessario, propedeutico a propaganda ed intese.
Aggiornato il 03 ottobre 2025 alle ore 11:58