
Hamas continua a fare muro, scegliendo la guerra. Il quarto incontro tra Benjamin Netanyahu e Donald Trump, alla Casa Bianca, ha prodotto un piano per la pace a Gaza approvato da Israele. Il documento in 20 punti presentato dal commander-in-chief statunitense non differisce troppo dalla prima road map redatta dall’amministrazione Biden nel 2023, a pochi mesi dall’attacco di Hamas del 7 ottobre. Con la differenza che adesso vengono interpellati i Paesi arabi cosiddetti “moderati”. Nello Studio Ovale, il presidente americano ha imposto una linea dura, costringendo addirittura il premier israeliano a chiedere scusa al capo del governo qatarino per i raid su Doha contro i leader di Hamas e ad accettare una proposta in 20 punti volta a porre fine al conflitto nella Striscia. Un documento giudicato “annacquato” rispetto alle bozze iniziali, ma che Trump ha accompagnato con un ultimatum diretto ad Hamas: se il piano sarà respinto, Israele avrà il “pieno appoggio degli Stati Uniti” e il “diritto” di “completare il lavoro” per annientare l’organizzazione.
La risposta di Hamas non si è fatta attendere, allontanando prospettive di pace e, per Trump, anche l’ambizione di un riconoscimento internazionale come il Nobel. Le prime parole di rottura sono arrivate contro Tony Blair, definito da Taher al-Nunu, alto funzionario del movimento islamista, “una figura inaccettabile per il nostro popolo”. Al-Nunu ha poi precisato: “Abbiamo accettato la formazione di un comitato che non rappresenti alcuna fazione palestinese per gestire gli affari di Gaza dopo la guerra, ma non accetteremo l’imposizione di una tutela straniera sul nostro popolo”. Il dirigente ha inoltre ribadito la richiesta di uno Stato palestinese, mentre il piano statunitense si limita a delineare un possibile “percorso credibile”. “La resistenza armata – ha detto al-Nunu – è un diritto del popolo palestinese finché esiste l’occupazione. Se il popolo palestinese sarà liberato e verrà creato uno Stato palestinese, allora non ci sarà più bisogno né di resistenza né di armi, e ciò farà parte dell’entità palestinese”.
Già alla vigilia del faccia a faccia alla Casa Bianca, Hamas aveva fatto trapelare scetticismo: “finora non ci sono state discussioni dirette o indirette sul piano promosso dagli Stati Uniti, e che Hamas ne è a conoscenza solo attraverso indiscrezioni sui media”. E questo nonostante Doha avesse assicurato a Washington la possibilità di persuadere il movimento a deporre le armi e accettare l’accordo. La proposta americana prevede la cessazione immediata delle ostilità in caso di intesa reciproca. Entro 72 ore dall’approvazione israeliana, tutti gli ostaggi dovranno essere rilasciati, vivi o morti. In cambio, Israele libererà 250 ergastolani e 1.700 detenuti palestinesi arrestati dopo il 7 ottobre 2023, inclusi donne e minori. Per ogni cadavere di un ostaggio israeliano restituito, saranno consegnati i resti di 15 palestinesi. Il ritiro dell’esercito sarà graduale, mentre la gestione di Gaza passerà a un comitato tecnico palestinese, “apolitico e tecnocratico”, con il supporto di esperti internazionali. Questo organo sarà supervisionato da un nuovo ente, il “Board of Peace”, presieduto da Trump insieme a leader mondiali, fra cui l’ex premier britannico Tony Blair. Gaza dovrà essere smilitarizzata e Hamas privato di ogni armamento, senza alcun trasferimento forzato della popolazione. Rimane però l’assenza di garanzie sul mancato annettimento della Cisgiordania da parte di Israele.
La fumata grigia giunge a pochi giorni dal secondo anniversario dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, che diede avvio alla guerra e a un’escalation regionale. Pur avendo sostenuto Israele contro l’Iran, Trump nelle ultime settimane aveva manifestato irritazione verso Netanyahu, criticando i raid a Doha – condotti contro un alleato strategico degli Stati Uniti – e opponendosi apertamente ai progetti di annessione in Cisgiordania. Una crescente preoccupazione, alimentata dal rischio di isolamento di Israele sulla scena internazionale e dall’eventuale naufragio degli accordi di Abramo, che ha spinto la Casa Bianca a intensificare la pressione diplomatica. Protagonisti di questo sforzo, accanto al presidente, l’inviato Steve Witkoff – che lascerà il suo incarico entro il 2025 – e Jared Kushner, che hanno incontrato Netanyahu a Washington fino a poche ore dall’appuntamento nello Studio Ovale.
Alla fine, il leader israeliano ha ceduto, arrivando a telefonare al primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, per scusarsi dell’attacco e per la morte di una sua guardia di sicurezza. Un gesto considerato indispensabile da Doha per riavviare i negoziati con Hamas, ma che ha provocato l’immediata irritazione del ministro della Sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir. E inoltre, Israele ha espresso la volontà di risarcire la famiglia dell’agente qatariota rimasto ucciso nell’attacco contro i leader di Hamas a Doha, riporta l’emittente pubblica israeliana Kan, citando fonti ufficiali.
Aggiornato il 30 settembre 2025 alle ore 09:40