
Tutti dovranno sapere. Tutti dovranno sentire il discorso del premier israeliano Benjamin Netanyahu all’Assemblea generale delle Nazioni unite, in programma oggi. Il primo ministro ha chiesto alle Forze di difesa israeliane di predisporre altoparlanti in diversi punti della Striscia di Gaza, così da permettere alla popolazione di ascoltare in diretta il suo discorso all’Onu. Lo ha detto per primo Channel 12 citando fonti militari, secondo cui l’iniziativa potrebbe costituire un rischio operativo: per installare i dispositivi, i combattenti sarebbero costretti a lasciare posizioni difensive già consolidate, esponendosi a potenziali pericoli.
Intanto, a margine della stessa Assemblea, il presidente argentino Javier Milei ha incontrato Netanyahu. La Casa Rosada ha diffuso una nota in cui sottolinea che il vertice ha avuto al centro la questione degli ostaggi trattenuti a Gaza da quasi due anni. Milei ha ribadito il “fermo impegno” dell’Argentina a collaborare per la loro liberazione e la disponibilità a rafforzare la cooperazione con Israele in ogni sede necessaria. Il capo di Stato ha parlato anche della possibilità di “scambiare visioni sulla cooperazione scientifica e tecnologica” e ha riaffermato la volontà di “rafforzare i legami di amicizia e collaborazione tra Argentina e Israele”. Dopo l’incontro, Milei ha ricevuto un riconoscimento dall’organizzazione B’nai B’rith e ha visto Ronald S. Lauder, presidente del Congresso mondiale ebraico, e Claudio Epelman, direttore del Consiglio ebraico latinoamericano.
Sul fronte palestinese, Abu Mazen ha preso la parola in videocollegamento all’Assemblea Onu, dopo che Washington gli ha negato il visto. Il leader dell’Autorità nazionale palestinese ha ribadito che Hamas non potrà avere alcun ruolo nella guida di Gaza dopo la guerra e dovrà consegnare le armi: “Siamo pronti a governare e a lavorare con il presidente Donald Trump, la Francia, l’Arabia Saudita e l’Onu a un piano di pace”. Ha quindi condannato il “genocidio” israeliano, ringraziando i Paesi che hanno riconosciuto lo Stato palestinese e insistendo sul fatto che “la pace non può essere raggiunta se non si ottiene giustizia, non può esserci giustizia se la Palestina non viene liberata”. Nel suo intervento, Abu Mazen ha accusato Israele di “crimini di guerra e contro l’umanità” che rimarranno come “uno dei capitoli peggiori della storia”, ribadendo che i palestinesi vogliono “vivere in pace e sicurezza. È giunto il momento di fare la cosa giusta per il popolo palestinese, affinché non sia ostaggio del temperamento di Israele”. Ha ricordato che la Palestina ha già riconosciuto il diritto di esistere dello Stato ebraico, responsabile oggi di “un assedio soffocante a un intero popolo”. Ha inoltre scandito: “Rigettiamo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, che non rappresentano le azioni del popolo palestinese”, così come “rigettiamo l’antisemitismo”: ciò che i palestinesi “vogliono è fermare il genocidio, mettere fine all’occupazione e raggiungere la pace”. Guardando al futuro, ha concluso che “non importa quanto sanguinano le nostre ferite, l’alba della libertà emergerà, la bandiera della Palestina sventolerà. Non abbandoneremo la nostra terra”.
Il suo intervento è seguito a una “ottima” riunione tra Stati Uniti e leader arabi sulla crisi di Gaza, a margine dell’Assemblea Onu. “Penso che siamo vicini a ottenere qualche tipo di accordo”, ha dichiarato Trump, che lunedì incontrerà Netanyahu alla Casa Bianca. Il premier israeliano, atteso domani all’Onu, ha già respinto con forza le posizioni dei Paesi che hanno riconosciuto la Palestina, e parallelamente ha lanciato a New York una campagna di comunicazione – cartelloni e camioncini con messaggi – per tenere alta l’attenzione sugli attacchi del 7 ottobre, in un momento in cui Israele appare sempre più isolato sul piano internazionale. Gaza è stata al centro anche dell’incontro tra Trump e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, in visita ufficiale a Washington per la prima volta dal 2019. Erdoğan ha più volte denunciato il genocidio israeliano, ma i due leader si sono mostrati distesi davanti alle telecamere. Trump ha definito il presidente turco “un duro”, pur criticando l’acquisto di petrolio russo, e ha insistito sul ruolo che Ankara potrebbe avere anche nella guerra in Ucraina: “Sono molto deluso da Vladimir Putin. Ora è il momento di fermarsi”. Il presidente turco punta inoltre a riaprire il dossier sugli F-35, dopo l’espulsione della Turchia dal programma di co-produzione in seguito all’acquisto dei sistemi S-400 russi. Trump non ha escluso un’intesa sulla vendita e una rimozione delle sanzioni, anche se la decisione definitiva resta legata al via libera del Congresso.
Aggiornato il 26 settembre 2025 alle ore 15:39