
Pezzo di carta addio. Studiare per 20 anni e non saper far di conto. La Francia ha una problema con l’ignoranza certificata da lauree e master: ce n’è in abbondanza. La chiarezza, in certi casi, può essere il problema. Ma se lavori all’Ocse e fai il ricercatore te ne sbatti delle reazioni isteriche. Le Figaro, per esempio, ha raccolto il virgolettato di Andreas Schleicher, chiarissimo direttore del Dipartimento educazione e competenze dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che imbarazza la vulgata ideologica dal “sapere è potere”. In Francia, assicura il direttore, “ci sono adulti che hanno trascorso anni a scuola e talvolta all’università e che nella scrittura non hanno nemmeno le competenze di un bambino di 10 anni”. Diploma o laurea, dunque, non vogliono sempre dire competenze. Anche perché il modello aziendale ha voluto scuole e università, e personale docente, suscettibili di valutazione. Una bocciatura oggi è vista come un fallimento dell’istituto stesso. Meglio abbassare gli standard e promuovere tutti. Per non avere noie (compresi genitori tamarri che ti mettono le mani addosso). E perdere punti nel marketing della vita.
Istruisci (male) e promuovi (tutti), come se non ci fosse un domani. E, ovviamente, occhio all’Agenda 2030. Capolavoro della società competitiva, che appiattisce e omologa, con la scusa di assicurare a tutti lo stesso punto di partenza. E del Sessantotto fatto sistema. E pazienza se con una laurea e 3 master non riesci a capire una frasetta di senso compiuto. Le cosiddette “competenze” nella scrittura e nelle matematiche, fa sapere l’Ocse, sono scese bruscamente negli ultimi 10 anni, nella maggior parte dei suoi 38 Paesi membri. Allungare gli anni d’istruzione non significa avere la garanzia di aumentare automaticamente le capacità. È oggettivo che i livelli di istruzione stiano aumentando notevolmente nei Paesi più industrializzati. Il tasso di giovani con un’istruzione superiore è effettivamente salito nell’Ocse, e si attesta ora intorno al 48 per cento rispetto al 27 per cento del 2000, secondo il rapporto.
In Francia sono consapevoli che si passa troppo tempo a studiare e che la qualità della formazione si è abbassata. I master sono diventati sempre più accessibili. In parallelo, aumenta il tasso di disoccupazione tra i giovani laureati. E a proposito di chiarezza ecco la sentenza dell’economista Pierre Rondeau, intervistato da RMC: “Il master non vale più nulla”. Tra i sociologi d’Oltralpe si sta sviluppando la convinzione, se non addirittura la necessità, di accorciare i tempi dell’istruzione superiore per facilitare l’inserimento professionale dei giovani, riducendo al contempo l’onere finanziario per lo Stato. Nel 1980 la Francia contava un milione di studenti; ora ce ne sono tre milioni. Un aumento che però ha generato un’occupazione nella fascia di età 16-29 tra le più scarse d’Europa e soprattutto una “sovrapproduzione di presunte élite” che faticano a trovare un impiego, ha fatto notare in un’articolo su Les Echos, Julien Damon, docente a Science Po. Secondo l’accademico, intraprendere studi troppo lunghi, e non sempre adeguati alle esigenze del mercato del lavoro, ostacola l’occupazione e genera frustrazione tra i giovani laureati.
Ma torniamo a Pierre Rondeau e al masterificio d’Europa. “Il tasso di disoccupazione per i laureati con master è salito dal 5 per cento del 1998 al 12 per cento di oggi. La democratizzazione del master ha fatto perdere valore al diploma: tutti ne hanno uno, ma non vale più nulla sul mercato del lavoro”. Ma il pezzo di carta dà l’illusione dell’onnipotenza. E così, i giovani che immaginano di poter accedere a posizioni di alto livello rifiutano lavori manuali o artigianali, a volte a costo di una disoccupazione prolungata o di debiti contratti con prestiti studenteschi. “La mancanza di meritocrazia – dice l’economista – sta portando a un calo del livello dei laureati con un master. Secondo l’Ocse un laureato su 10 ha il livello di scrittura di uno studente di scuola elementare”. Non sarà il caso allora, ci si chiede, di tornare a valorizzare il cario e vecchio lavoro manuale? Vaglielo un po’ a spiegare alle famiglie che pretendono il dottorino. Epperò, come riporta l’Observatoire des inégalités, se il tasso di disoccupazione tra i giovani laureati è stabile, l’aumento del numero di giovani disoccupati con titoli di studio superiori “è spettacolare”: in 20 anni è cresciuto di 2,5 volte, passando da 186mila a 460mila, proprio perché si è gonfiato a dismisura l’esercito dei laureati. In Francia dal 2020, i disoccupati con titoli di studio Bac +2 (ricevuti dopo 2 anni di studi superiori dopo il baccalaureat) “sono quasi tanti quanti quelli senza”, ha scritto l’Osservatorio nel 2023.
Lo schema è noto: alternanza scuola-lavoro, 3 lauree, zero esperienza, per poi arrivare al colloquio e sentirsi dire: “sì, ma non hai fatto niente”. Tornare alla manualità, dunque. E prendersela con la gauche. “Abbiamo bisogno di collaboratori giovani che entrino presto nel mercato del lavoro, per contribuire a lungo termine. Dobbiamo porre fine all’approccio pedagogico della filosofia educativafrancese, purtroppo ispirato dalla sinistra, che valorizza l’istruzione superiore a tutti i costi e svaluta il lavoro manuale”, sentenzia su BFMTV Périco Légasse, giornalista e critico gastronomico. “Abbiamo bisogno di scienziati – riconosce – ma le università dovrebbero formare solo in base alle reali esigenze del Paese. Questo è un sistema che crea frustrazione”.
Si prova, insomma, a far passare il messaggio: meno studenti, più gente al lavoro, meno psicodrammi. Ma sarà una faticaccia epocale (quando c’è di mezzo la sinistra liberal). Qualcosa di simile alla mossa della disperazione, di fronte al fallimento del mantra che vede nell’espansione dell’istruzione la garanzia dell’aumento delle competenze o dello status sociale. Molti economisti cominciano a rendersi conto, invece, che l’istruzione superiore serve principalmente come segnale da inviare ai datori di lavoro (e alle famiglie indottrinate dall’ideologia del curriculum che “qualifica” anche la persona oltre che il professionista), piuttosto che come vero e proprio strumento di formazione.
Aggiornato il 26 settembre 2025 alle ore 10:20