Alta tensione: jet russi nei cieli Nato

Ancora tensioni nei cieli del Baltico. Due caccia Gripen dell’Aeronautica ungherese, impegnati nella missione Nato di Baltic air policing e decollati dalla base di Siauliai in Lituania, hanno intercettato cinque jet russi – tra cui tre MiG-31 – che volavano a ridosso dello spazio aereo lettone. Lo ha reso noto il Comando aereo alleato con un post su X, ribadendo “l’impegno dell’Alleanza nel proteggere i Paesi baltici e il fianco orientale”. L’episodio si è registrato in una delle aree più sensibili del Mar Baltico, dove i velivoli russi procedevano senza autorizzazione, privi di un piano di volo dichiarato e in prossimità delle rotte civili e militari. Una dinamica che, sottolinea la Nato, conferma il carattere provocatorio delle incursioni aeree russe lungo i confini orientali dell’Alleanza. Mosca, dal canto suo, respinge le accuse e ribalta la responsabilità, denunciando “l’espansionismo” atlantico legato al sostegno militare a Kiev.

Il caso arriva a pochi giorni dalla chiusura temporanea dell’aeroporto di Aalborg, in Danimarca, per la presenza di droni nello spazio aereo. Le indagini sono ancora in corso, ma gli investigatori non escludono l’ipotesi di operatori amatoriali. La cronologia è impietosa. Il mondo era uscito dal vertice in Alaska tra Donald Trump e Vladimir Putin con tante speranze – per alcuni illusioni – tra strette di mano sul tappeto rosso e promesse di pace. Sono bastate poche settimane per assistere a nuove manovre militari russe a ridosso dei confini europei, mentre “misteriosi” droni hanno sorvolato aeroporti danesi creando timori di sicurezza. Fino a ieri, quando i jet di Mosca sono apparsi ai margini dello spazio aereo di Alaska e Lettonia. Dove si fermerà Putin, e si fermerà? La domanda resta senza risposta. Impossibile prescindere dalle origini del leader russo: l’ex funzionario del Kgb nella Germania dell’Est, cresciuto nella San Pietroburgo del dopoguerra, approdato infine ai vertici dell’Unione sovietica. Un uomo che non ha mai nascosto la sua convinzione di fondo: che l’Ucraina per lui é Russia. Secondo la sua visione, le elezioni che hanno eletto legittimamente Volodymyr Zelensky – per lui – non hanno valore, e l’unica conseguenza sarebbe riappropriarsi di quello che definisce il suo “spazio naturale vitale, a Ovest di Mosca, e cioè il territorio di Kiev”, come ha spesso confermato il nuovo Zar.

Putin interviene di rado, lasciando che siano i suoi diplomatici a scandire la linea politica, spesso in modo contraddittorio. Tra le voci di Mosca spiccano tre figure: il portavoce Dmitrij Peskov, che tende ad attenuare le minacce richiamandosi alla “pace”; il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, che insiste sul ruolo della Russia come vittima dell’Occidente; e Dmitrij Medvedev, pronto a usare toni duri e allusioni dirette a missili nucleari e terza guerra mondiale.

Aggiornato il 26 settembre 2025 alle ore 15:03