Droni: l’esperienza di Kyiv è decisiva per l’Europa

La recente incursione di diciannove droni russi nello spazio aereo polacco ha fatto sobbalzare l’Europa, segnalando non solo una pericolosa escalation ma anche la necessità di ripensare molte delle difese tradizionali finora considerate adeguate. Perfino sistemi avanzati come gli F-35 e i Patriot mostrano limiti di fronte alla quantità e alla rapidità dei velivoli senza pilota che Mosca impiega ormai in maniera sistematica. In questo contesto, l’esperienza ucraina appare preziosa, e forse l’unica davvero in grado di insegnare alla Nato come difendersi in modo efficace da questa nuova minaccia. Kyiv affronta da oltre tre anni un conflitto che non è fatto soltanto di battaglie territoriali, ma anche di un continuo rinnovamento tecnologico e tattico da parte russa, soprattutto nell’impiego dei droni d’attacco. Questi sciami di velivoli si sono trasformati in armi decisive, capaci di penetrare difese complesse, colpire a centinaia di chilometri dietro le linee, danneggiare tanto obiettivi militari quanto infrastrutture civili, costringendo chi li subisce a redistribuire risorse, modificare strategie e rivedere le proprie modalità di difesa. È un’innovazione che moltiplica gli effetti sul campo: non mette sotto pressione solo i combattenti, ma anche le catene di approvvigionamento, le scelte politiche e le risposte diplomatiche.

Ecco perché i leader in Europa stanno cominciando ad ascoltare l’Ucraina: la sua lotta mostra che non basta avere sistemi difensivi sofisticati se non sono pensati per essere resilienti, distribuiti, capaci di attivarsi rapidamente contro minacce rapide, volatili, pervasive. L’Ucraina ha già sviluppato e schierato droni intercettori ‒ versioni più economiche e snelle per abbattere i droni russi in grande numero; ha proposto e promosso una difesa ibrida che mescola jet da combattimento, sistemi fissi, pattuglie aeree leggere, elicotteri, droni difensivi, anche aerei a elica, per avere copertura su aree vaste, tempi di reazione rapidi, e ridurre la dipendenza da missili molto costosi. Gli analisti sottolineano come nessun arsenale di missili sia oggi sufficiente ad abbattere l’intera ondata di droni che Mosca può lanciare, e che proprio la massa impiegata costituisca la forza di questo strumento bellico. L’episodio verificatosi sopra la Polonia è stato interpretato come un test: un modo per verificare non tanto la capacità militare di contrasto immediato, ma la prontezza politica e strategica della Nato ‒ quanto tempo occorre per alert, per decidere, per rispondere; se si è disposti a impegnare risorse o se si continuerà a reagire caso per caso. Ora l’Ucraina offre non solo la propria esperienza, ma formazione, assistenza tecnica, supporto nella scelta e produzione di strumenti difensivi adeguati. Polonia e Ucraina hanno già annunciato che Kyiv addestrerà personale polacco all’uso e al contrasto dei droni, e altre alleanze europee probabilmente seguiranno.

Anche la Gran Bretagna ha lanciato progetti per produrre droni intercettori su base della tecnologia ucraina, con l’intento di sfornare migliaia di esemplari ogni mese. Ciò non significa che la Nato debba cancellare o abbandonare le proprie piattaforme tradizionali; piuttosto, occorre integrare, diversificare, trasformare la dottrina. Difesa aerea, sorveglianza, sistemi antidrone, allarmi rapidi, esercitazioni con scenari di attacco massivo di droni ‒ questi sono tutti elementi che devono essere ripensati e rafforzati. L’Europa, guardando cosa sta accadendo in Ucraina, ha la possibilità di imparare, adattarsi e ramificare una strategia che possa resistere ad attacchi non convenzionali su larga scala, che possono diventare la norma. Se lo farà, la lezione ucraina non sarà solo preziosa, ma forse decisiva per la sicurezza europea nel prossimo decennio.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza

Aggiornato il 19 settembre 2025 alle ore 09:45