Libia: Tripolitania sull’orlo del baratro

La Libia, o meglio la regione Tripolitania, dopo la deposizione, voluta dall’Occidente, di Muammar Gheddafi avvenuta nel 2011, è sprofondata in una instabilità crescente ed ora rischia il collasso definitivo. L’artificiale “governo di unità nazionale con sede a Tripoli, riconosciuto a livello internazionale e ordinato dai distruttori della Libia gheddafiana, retto dal primo ministro Abdel Hamid Dbeibah, è nuovamente in massima allerta. Infatti in questi ultimi giorni sono arrivati nella città portuale di Misurata, circa 200 chilometri a sud di Tripoli, convogli militari con centinaia di mezzi e sistemi antiaerei in previsione di un possibile scontro armato con le milizie rivali.

Ma quali sono queste milizie che minacciano l’attuale potere in Tripolitania? Certamente la questione che divide i due governi in Libia, quello della Tripolitania da quello della Cirenaica, è inserita, anche se non sempre direttamente, all’interno della criticità di cui soffre il governo di Dbeibah, ma gli scontri in Tripolitania sono tra l’esercito regolare, supportato anche dalla Brigata 444, guidata da Mahmoud Hamza, capo dell’intelligence del governo di unità nazionale, Gnu, fedele a Dbeibah e la milizia al-Rada. Questo gruppo armato che ha una storia che affonda le sue radici nell’epoca di Gheddafi, ha una potenzialità militare che probabilmente è superiore a quella delle forze armate tripoline. Al-Rada è strutturato e opera sotto il nome di Forze speciali per il contrasto al terrorismo e al crimine organizzato, e ha acquisito autonomia e potere in molte zone della Tripolitania. In teoria dipende dal Ministero dell’Interno di Tripoli, ma come accade spesso, vedi Sudan dove le Forze di supporto rapido, espressione operativa dell’esercito regolare sudanese, hanno acquisito potere, armi e ambizioni tali che hanno innescato una drammatica guerra civile contendendosi il potere con il governo di Khartoum, similmente le forze al-Rada hanno ambizioni e potere tali da minare la stabilità del governo di Tripoli. Al- Rada è anche il gruppo di cui faceva parte Osama Najim al Masri, convolto strumentalmente nella questione dell’estradizione dall’Italia; una ex figura di vertice che al-Rada sembra abbia allontanato, al fine di evitare di apparire come struttura complice delle sue responsabilità individuali.

A maggio, dopo che la capitale della Tripolitania era stata scenario di sanguinosi combattimenti tra le forze armate governative e le milizie, una precaria tregua era stata raggiunta tra al-Rada e le forze armate fedeli, per ora, a Dbeibah. Ma dopo gli scontri a fuoco del primo settembre si è conclamata una veloce escalation delle tensioni. Così i primi giorni di settembre in più occasione l’Unsmil, ovvero Missione di supporto delle Nazioni unite in Libia, ha segnalato gravi criticità a Tripoli, esprimendo il timore di ulteriori scontri letali.

Preoccupazioni decisamente fondate che rivelano la miopia politica esercitata dall’Occidente, Francia in testa, nel volere a tutti i costi strutturare la Libia post Gheddafi su convenienze occidentali e soprattutto con un capo creato ad hoc, ma che non ha mai riscosso un riconoscimento appropriato tra le varie milizie presenti nella regione ed oltre. Ora la questione è arrivata ad un punto probabilmente di non ritorno. Va ricordato che al-Rada è un potente gruppo armato di ispirazione madkhalista, quindi il ramo più radicale del salafismo quietista, ovvero una corrente apolitica che si distacca, tramite l’astensionismo, dalla politica attiva, e che oggi controlla la zona est di Tripoli. La dottrina musulmana sunnita ultra-conservatrice Madkhali da almeno una decina di anni si sta diffondendo in tutta la Libia, oltreché nel Maghreb. È ben radicata e diffusa nei gruppi armati, sia in quelle milizie para-governative, che tra le fila dell’esercito regolare di Tripoli, e l’Esercito nazionale libico, Lna, del Maresciallo Khalifa Haftar capo della Cirenaica. Quindi una corrente islamista che ha assunto potere gestendo trasversalmente il settore strategico della sicurezza. Un modello collaudato comune anche a fazioni armate non islamiste che si sono consolidate ed espanse inserendosi all’interno del complesso sistema della sicurezza.

I loro principi rifiutano la diversità religiosa e culturale e la democrazia. È opportuno ricordare che il salafismo è in forte espansione in tutta l’area maghrebina, e si inserisce in una più ampia riconfigurazione e mutamento dell’islamismo, causato anche dalle condizioni politiche e socioeconomiche. In Libia, in generale, la corrente quietista si sta affermando con forza nell’ambito sociale e politico. Va anche considerato che dopo la deposizione di Gheddafi la Libia è stata teatro di cooperazioni anche piratesche da parte di molti Paesi, come Arabia saudita, Turchia, Russia, oltre l’Occidente e altri paesi del Golfo, e l’ascesa del salafismo quietista è stato favorito anche dall’influenza saudita che si è manifestata tramite  supporto materiale ed educativo. Inoltre la frammentazione politica e istituzionale del Paese ha prodotto il classico vuoto di sicurezza che ha agevolato il movimento salafita a occupare lo spazio, quello della sicurezza, lasciato dalle istituzioni. Infine secondo i principi quietisti la Primavera araba e le ribellioni e proteste relative contro i presidenti e capi di Stato, sono stati un errore strategico e una deviazione dell’islam che hanno condotto al caos totale. Infatti i quietisti ostentano una ossessiva lealtà verso i “sovrani” in carica.

Quindi la questione sicurezza in Tripolitania è complessa e delicata, e anche se a metà maggio le forze armate fedeli a Dbeibah, hanno ucciso Abdel Ghani Al-Kikli, conosciuto come “Gheniwa”, capo della milizia denominata “Apparato di supporto alla stabilità”, che sembra dissoltasi dopo l’annichilimento del loro vertice, i successivi combattimenti contro le milizie si sono concluse con una serie di fallimenti. Il 21 agosto Hanna Tetteh, responsabile dell’Unsmil, ha proposto un piano per l’organizzazione delle elezioni e l’unificazione delle istituzioni in Libia; probabilmente non considera quanto di stabile si è creato in Cirenaica e anche nel Fezzan, e quanto sia stato dannoso l’avere imposto dall’Occidente un leader in Tripolitania che ha prodotto quanto sta accadendo. Un nuova interferenza che non serve né alla Tripolitania né al resto della Libia.

Al momento, sia la Turchia che l’Arabia saudita stanno interloquendo sempre più spesso con il governo Cirenaico supportato dalla Russia, a scapito delle relazioni con la Tripolitania. Un ulteriore segnale che il polo d’attrazione geopolitico è teso verso il potere antagonista all’occidentalismo. Infine, non posiamo non valutare che secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, in Libia ci sono quasi 900mila migranti, e che negli ultimi mesi il governo di Tripoli ha intensificato le misure repressive nei loro confronti. Una vacanza di potere potrebbe causare l’ennesimo sbarco di questi emarginati africani, molti con profilo jihadista, sulle coste europee, situazione da evitare energicamente.

Aggiornato il 08 settembre 2025 alle ore 10:04