
Prima Barack Obama, ora Hillary Clinton. Le declassificazioni riguardanti la bufala Russiagate orchestrata nel 2016 dalla Campagna Clinton in complicità con l’amministrazione Obama per delegittimare il presidente Donald Trump proseguono. Anche se non cambiano le conclusioni a cui siamo giunti già da diversi anni, dalla conclusione dell’inchiesta del procuratore speCiale John Durham sull’origine dell’indagine dell’Fbi su Trump e la Russia, nota come Crossfire Hurricane, ogni nuova conferma documentata che arriva dagli archivi delle agenzie di intelligence Usa rende lo scandalo ancora più clamoroso.
Dunque, che il Russiagate sia stato un tentativo, in parte riuscito, di delegittimare e sabotare la prima presidenza Trump orchestrato da Obama e Clinton era qualcosa di acquisito a partire, almeno, dal rapporto Durham del 2023, se non prima. Già due anni fa riportavamo su Atlantico Quotidiano la conclusione, confermata dalle ulteriori prove emerse in questi giorni: “Fbi e amministrazione Obama sapevano del piano Clinton per diffamare Trump collegandolo alla Russia. E l’hanno consapevolmente implementato”. Nato come un’arma politica della Campagna Clinton contro il suo avversario alle presidenziali 2016, dopo la vittoria di Trump il Russiagate è diventato un tentativo di colpo di Stato soft, che ha mancato di poco l’obiettivo, attuato dai massimi livelli dell’amministrazione Obama. La scorsa settimana, dai documenti declassificati dal Direttrice dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard è emerso il ruolo dell’ex presidente Barack Obama e dell’ex direttore della Cia John Brennan nella fabbricazione, manipolazione e politicizzazione dell’intelligence per alimentare la storia della collusione Trump-Russia.
L’ALLEGATO AL RAPPORTO DURHAM
Questa settimana è stato declassificato un documento allegato al rapporto Durham che conferma e aggrava, se possibile, il quadro probatorio. Anche le circostanze del suo ritrovamento sono emblematiche. Il documento è stato ritrovato dal direttore dell’Fbi Kash Patel in una stanza sigillata presso la sede dell’Fbi, in cui erano depositati diversi “burn bags”, sacche utilizzate per contenere documenti classificati da distruggere. Migliaia di pagine, tra cui questa appendice al rapporto Durham. Non sappiamo perché sia stato nascosto, né perché non sia mai stato distrutto. Ma certo se fosse rimasto sepolto sarebbe mancata l’ennesima prova della cospirazione ai danni del presidente Trump nel 2016 e negli anni successivi.
Già a gennaio e marzo 2016 furono raccolte dall’intelligence Usa conversazioni riservate tra l’allora presidente del Democratic national committee Debbie Wasserman Schultz e Leonard Benardo, vicepresidente senior della Open Society Foundations di George Soros, sulla presunta intenzione dell’allora presidente Obama di affossare l’indagine dell’Fbi sull’uso illecito da parte del segretario Clinton di un server di posta elettronica privato (E-mailgate) e sui piani della campagna di Clinton, “con il supporto di servizi speciali”, per collegare falsamente Donald Trump alla Russia. Durham riporta che gli analisti dell’Fbi ritenevano, all’epoca, che il termine “servizi speciali” nel promemoria del marzo 2016 potesse riferirsi “all’Fbi e alla Cia o, più in generale, alle Comunità di intelligence e di polizia” all’interno degli Stati Uniti. Ma altri analisti avevano ipotizzato che potesse riferirsi a “Christopher Steele, l’autore del dossier Trump”. Fusion GPS fu incaricata dagli avvocati di Clinton presso Perkins Coie di trovare qualcosa di compromettente che legasse Trump alla Russia e aveva assunto a questo scopo Cristopher Steele, l’autore o meglio il confezionatore dell’omonimo dossier.
Nel frattempo, Obama stava cercando di chiudere l’inchiesta E-mailgate che imbarazzava e minacciava le chance di vittoria Hillary Clinton. Il ruolo degli uomini di Soros invece sarebbe stato quello di usare la vasta rete di ong e think tank per promuovere la falsa narrazione presso i media, tra cui New York Times, Washington Post, Cnn.
LA PISTOLA FUMANTE
In una e-mail del 25 luglio 2016, Benardo scrive: “L’analisi dei media sull’hacking del Dnc sembra solida… La politicizzazione è sul tavolo… Julie dice che demonizzare Putin e Trump sarà un’operazione a lungo termine. Ora è il momento di un rimbalzo post-convention. Più tardi l’Fbi getterà altra benzina sul fuoco”. Il procuratore Durham annota che “Julie” è un riferimento alla consulente di politica estera della campagna Clinton Julianne Smith, che era stata consigliere per la sicurezza nazionale ad interim e vice consigliere per la sicurezza nazionale dell’allora vicepresidente Joe Biden.
In un’altra e-mail, del 27 luglio, Benardo scrive: “Hrc (Hillary Rodham Clinton, ndr.) ha approvato l’idea di Julie su Trump e gli hacker russi che interferiscono con le elezioni. Questo dovrebbe distogliere l’attenzione dalle sue e-mail mancanti (il caso E-mailgate, ndr.). Il punto è trasformare la partita russa in una questione interna agli Stati Uniti. Diciamo qualcosa come una minaccia alle infrastrutture critiche per far sembrare le elezioni in pericolo, visto che sia il presidente degli Stati Uniti (Obama, ndr.) che il vicepresidente (Biden, ndr.) hanno riconosciuto il fatto che l’Ic (Comunità di intelligence, ndr.) accelererebbe la ricerca di prove che purtroppo non sono ancora disponibili”. Avete letto bene: prove ancora non ce n’erano, ammette Benardo nella e-mail del 27 luglio, ma il piano parte e con esso, come vedremo, le indagini dell’Fbi su Trump.
Ma c’è di più. Benardo aggiunge: “In assenza di prove dirette, Crowdstrike e ThreatConnect riforniranno i media, e il Gru (servizi segreti russi, ndr.) speriamo che continui a fornire ulteriori fatti… Nella prima fase della campagna, a causa della mancanza di prove dirette, si è deciso di diffondere le informazioni necessarie attraverso le strutture tecniche affiliate all’Fbi, in particolare le società Crowdstrike e ThreatConnect, da dove le informazioni sarebbero poi state diffuse attraverso le principali pubblicazioni statunitensi”. Va ricordato che Crowdstrike era la società informatica incaricata dalla Campagna Clinton di indagare sull’hackeraggio dei server del Comitato nazionale democratico. Server che non furono mai fatti analizzare dall’Fbi. Durham ha concluso che “l’e-mail del 27 luglio 2016 del consigliere per la politica estera numero 1 ai suoi colleghi in merito a Trump, la Russia e la Nato, il giorno dopo che Clinton avrebbe approvato un piano per legare Trump alla Russia, è coerente con la sostanza del presunto piano.
E-MAIL AUTENTICHE IN MANO RUSSA
L’autenticità di queste e-mail non è seriamente in dubbio. Durham ha scritto nel suo allegato che “la migliore valutazione dell’ufficio” è che le e-mail di Benardo del luglio 2016 “erano in definitiva un insieme di diverse e-mail ottenute tramite l’hacking russo di think tank con sede negli Stati Uniti, tra cui l’Open Society Foundations” e altre. Il team di Durham ha interrogato diversi analisti: non si tratta di falsi del Cremlino, sono conversazioni autentiche, non fatte trapelare da Mosca. Da alcune di esse emergeva anche che il presidente Obama e altri leader del partito ritenevano “estremamente preoccupante” lo stato di salute psichica della Clinton, che soffriva di “problemi psico-emotivi intensificati, tra cui attacchi incontrollati di rabbia, aggressività e allegria” e assumeva quotidianamente “forti tranquillanti”. Chiaramente se la Russia avesse voluto danneggiare Hillary, queste e-mail sarebbero trapelate. E invece.
Scrive ancora il procuratore Durham: “L’esame da parte dell’ufficio di alcune comunicazioni che coinvolgevano Smith ha fornito ulteriore supporto all’idea che la Campagna Clinton fosse impegnata in uno sforzo o piano a fine luglio 2016 per incoraggiare l’esame dei presunti legami di Trump con la Russia, e che la Campagna avrebbe potuto volere o aspettarsi che l’Fbi o altre agenzie aiutassero tale sforzo (“mettendo più benzina sul fuoco”), avviando un’indagine formale sull’attacco informatico al Dnc”. Interrogata dal team Durham, la stessa Clinton osservò: “Davvero triste”, ma “capisco, bisogna andare fino in fondo”, aggiungendo che “mi sembrava disinformazione russa; sono molto bravi a farlo, sapete”. Le sembrava disinformazione russa ma ciò non le ha impedito di usarla e diffonderla nel 2016 e nel 2017.
OBAMA INFORMATO DEL PIANO CLINTON
Il rapporto Durham del 2023 aveva già rivelato che “l’intelligence ha ricevuto informazioni sul Piano Clinton alla fine di luglio 2016” e che Brennan aveva subito allertato i massimi funzionari dell’amministrazione Obama, tra cui lo stesso Obama, James Comey, Biden e altri. Hillary Clinton approvò personalmente il piano per collegare falsamente Trump alla Russia il 26 luglio 2016, nel mezzo della Convention democratica, e pochi giorni dopo, il 3 agosto, come emerso già anni fa, l’allora direttore della Cia John Brennan informò del piano il presidente Obama, il vicepresidente Biden, il direttore dell’Fbi Comey e il Dni James Clapper. Il che è coerente con la nota manoscritta dello stesso Brennan, declassificata nell’ottobre 2020 dall’allora Dni – oggi direttore della Cia – John Ratcliffe: “Stiamo ottenendo ulteriori approfondimenti sulle attività russe che citano la presunta approvazione da parte di Hillary Clinton, il 26 luglio, di un piano proposto da uno dei suoi consiglieri di politica estera per diffamare Donald Trump montando uno scandalo che sostiene l’interferenza russa per mezzo dei servizi di sicurezza russi”. Esattamente ciò che la Campagna Clinton aveva pianificato di fare.
CIA E FBI SAPEVANO
La segnalazione da parte della Cia al direttore dell’Fbi James Comey, declassificata nel 2020, dimostra che un mese dopo, il 7 settembre, la Cia riteneva ancora credibile l’informazione in possesso dei russi secondo cui la Clinton aveva approvato un piano per diffondere la falsa narrazione della collusione Trump-Russia, con l’obiettivo finale di “distrarre l’opinione pubblica dall’uso di un server di posta elettronica privato”. Funzionari di alto livello dell’Fbi, tra cui l’allora vicedirettore Andrew McCabe, erano a conoscenza di queste informazioni già a fine marzo 2016 e ancor di più a luglio dopo la segnalazione della Cia. Segnalazione nella quale il vero messaggio che si voleva trasmettere all’Fbi non era di indagare sul piano anti-Trump della Clinton, ma che la Clinton (che ci si aspettava diventasse il prossimo presidente) desiderava che la Campagna Trump fosse accusata di aver cospirato con gli hacker russi per influenzare le elezioni. L’allegato di Durham afferma che “l’Fbi era pienamente consapevole della possibilità che almeno alcune delle informazioni che stava ricevendo sulla Campagna Trump potessero avere origine dalla Campagna Clinton o dai suoi sostenitori, o in alternativa, fossero il prodotto della disinformazione russa”.
L’ORIGINE DI CROSSFIRE HURRICANE
Invece di vigilare e indagare sulla possibile interferenza russa, negli stessi giorni l’Fbi apriva l’indagine Crossfire Hurricane sulla Campagna Trump. E utilizzando materiali prodotti dalla Campagna Clinton, come il dossier Steele, una raccolta di false informazioni di origine russa, metteva sotto sorveglianza la Campagna Trump. L’Fbi ha quindi collaborato con la Campagna Clinton per impedire che Trump venisse eletto e contribuito a costruire il presupposto per il suo eventuale impeachment, una volta eletto. In realtà, l’indagine Crossfire Hurricane non venne aperta sulla base del dossier Steele – che arrivò in seguito all’Fbi, nel settembre-ottobre, e che fu utilizzato per ottenere e rinnovare i mandati Fisa, quindi ingannando la corte chiamata ad autorizzare la sorveglianza – ma sulla base di un filone ancora poco indagato dell’operazione, ovvero le segnalazioni provenienti da agenti di governi stranieri alleati.
Sempre il rapporto Durham del 2023, infatti, ha rivelato che l’approvazione del “piano” da parte della Clinton è avvenuta esattamente lo stesso giorno in cui il diplomatico australiano Alexander Downer, sostenitore di Clinton, aveva fornito all’Fbi da Londra una soffiata vecchia di mesi su un collaboratore marginale della Campagna Trump, George Papadopoulos, che sarebbe stato a conoscenza di e-mail compromettenti (“dirty”) sulla Clinton in possesso dei russi, di cui a sua volta avrebbe appreso dal professore Joseph Mifsud, di cui si sono perse le tracce nonostante sia stato interrogato e lasciato andare dall’Fbi e sia citato decine di volte nel rapporto Mueller. Ed è su questa soffiata tardiva che l’Fbi ha aperto l’indagine Crossfire Hurricane a fine luglio.
LA MANO DI OBAMA E IL RUOLO DI BRENNAN
Comunque, la Casa Bianca restò a guardare, lasciò fare. Fino a quel 9 dicembre in cui il presidente Obama decise di riunire nella situation room i vertici della sicurezza nazionale e ordinare una nuova valutazione di intelligence in cui fosse descritta nel dettaglio l’ingerenza russa nelle elezioni del 2016, sebbene ciò contraddicesse tutte le valutazioni di intelligence dei mesi precedenti. Fu Brennan a guidare la stesura dell’Ica, imponendo l’inclusione del materiale prodotto dalla Campagna Clinton su Trump, in particolare il dossier Steele, ormai screditato, e sopprimendo le informazioni contrastanti. Secondo alcuni analisti della Cia non c’erano prove concrete che la Russia sostenesse Trump, anzi alcune valutazioni sostenevano il contrario, cioè che Putin preferisse la Clinton. Ma Brennan tenne nascoste queste valutazioni che contraddicevano la falsa narrazione che si voleva promuovere della collusione con la Russia per far deragliare la presidenza Trump.
Il rapporto della Commissione intelligence della Camera, di recente declassificato, sosteneva che “i documenti trapelati durante le elezioni erano molto meno dannosi per la segretaria Clinton rispetto a quelli che Putin aveva scelto di non far trapelare” (il piano approvato per screditare Trump, le pressioni sull’Fbi per chiudere l’indagine sull’uso illecito di un server di posta privato, il precario stato di salute psichica della Clinton) e quindi “è difficile giustificare il giudizio dell’Ica secondo cui Putin aspirava ad aiutare Trump a vincere screditando la segretaria Clinton, dato che nelle ultime settimane della campagna, quando fughe di notizie così devastanti avrebbero potuto essere decisive, il presidente Putin aveva scelto di non immettere questo materiale nella campagna”. Il che avvalora proprio le valutazioni di intelligence fino alla riunione del 9 dicembre 2016 alla Casa Bianca e poi soppresse da Brennan.
Il doppio standard è evidente: se l’Fbi avesse trattato il piano Clinton come ha trattato la Campagna Trump, non ci sarebbe stata nessuna Crossfire Hurricane, nessun dossier Steele, nessuna inchiesta Mueller, nessuna ombra sulla presidenza. La Campagna Clinton, per incastrare il suo avversario e distogliere l’attenzione dal caso Emailgate, fabbricò il Russiagate. La Casa Bianca di Obama sapeva. I vertici della Comunità di intelligence sapevano e tacevano. Invece di fermarla, o almeno ignorarla, si resero complici. Uno dei motivi per cui un mandato Fisa contro un agente straniero legato alla Campagna Clinton è stato ritardato per mesi è stato che, secondo dichiarazioni interne, gli agenti erano “spaventati dal grande nome (Clinton, ndr.) coinvolto”. Ai massimi livelli sapevano che era una bufala, ma l’hanno alimentata nella speranza che avrebbe portato all’impeachment di Trump e alla sua rimozione dalla Casa Bianca.
Alcuni funzionari chiave dell’Fbi a cui erano state nascoste le informazioni del piano Clinton dissero in seguito a Durham di essere rimasti turbati da questa occultazione e che avrebbero dovuto vederle nel 2016. Molti membri del personale dell’Fbi coinvolti in Crossfire Hurricane non avevano mai visto le informazioni sul piano Clinton fino a quando il team di Durham non le mostrò loro, e “alcuni espressero sorpresa e sgomento dopo averle apprese”, si legge nel rapporto Durham. Anche l’ex consigliere generale dell’Fbi James Baker disse a Durham “di non aver mai visto né sentito parlare” del piano Clinton o della conseguente segnalazione della Cia all’Fbi. Baker affermò che “se ne fosse stato a conoscenza durante l’indagine Crossfire Hurricane, avrebbe visto in una luce diversa e molto più scettica” sia il dossier Steele che le affermazioni su Alfa Bank.
IMPATTO DEVASTANTE
L’impatto della bufala Russiagate fu devastante: transizione ostacolata, nuova amministrazione paralizzata, due impeachment, isteria politica e mediatica, discredito sulle istituzioni, il tutto a beneficio dei rivali dell’America.
(*) Tratto da nicolaporro.it
Aggiornato il 04 agosto 2025 alle ore 11:14