Tanto rumore per (quasi) nulla

Commenti pressoché unanimi disegnano con grande sussiego uno sconvolgimento universale in relazione alla politica, inattesa, del presidente Donald Trump, soprattutto in tema di dazi. Gli argomenti standard sembrano generati in serie: gli Usa vogliono isolarsi, l’Europa è divisa e conta poco, la Cina è il vero obiettivo di Trump, e così via. In realtà, fermo restando che i dazi, di qualsiasi entità, sono quasi una bestemmia nel pensiero liberale, quella di Trump era ed è una politica da un lato comprensibile alla luce della bilancia commerciale americana e, dall’altro, facilmente decifrabile. Infatti, come sarebbe per dati di qualsiasi altro genere, l’elaborazione statistica delle “minacce” del presidente statunitense, avrebbe messo in luce una tendenza assai chiara. Si può sorridere, amaramente, delle cifre sempre diverse che Trump ha comunicato quasi quotidianamente ma la tendenza (in statistica si parlerebbe di “regressione”) era chiara ed era verso un ribasso diretto a cifre per così dire ragionevoli, e rese realistiche e accettabili proprio dal loro altalenarsi in su e in giù.

Sono certo che gli uffici governativi, a Washington come a Bruxelles, a Tokyo o a Pechino, erano perfettamente in grado di prevedere l’andamento della curva, ossia delle trattative le quali, infatti, si stanno concludendo su cifre certamente non gradevoli ma ben lontane dalle sparate trumpiane degli inizi. Si può anche essere certi che, fra un anno, nessuno si ricorderà degli spasimi di questi giorni perché, volenti o nolenti, produttori e mercati sapranno più o meno velocemente adeguarsi alla nuova situazione. Tuttavia, si può dire che, in fondo, la vera trattativa comincia ora o, meglio, comincerà a settembre e non sarà, in primis, di natura economica o finanziaria bensì politica o, se si preferisce, geopolitica. La ragione è molto semplice: il mondo è globalizzato e lo rimarrà, forse persino espandendo la propria portata. Trump lo sa perfettamente come dimostra il suo palese intento di regolare, non di abolire, i rapporti con la Cina, la Russia, la stessa Europa e mille altri Paesi.

Trump, e i suoi consiglieri, non ignorano il fatto che in un mondo come quello attuale e come quello che sta maturando, non ha alcun senso, se non suicida, l’isolazionismo, mentre ha senso la ricerca del primato sempre presente fra le motivazioni di base degli uomini e anche degli Stati. Per questo, per chi ha nervi saldi e sangue freddo, la questione dei dazi si colloca guardando al prossimo futuro delle relazioni internazionali e non agli sconquassi momentanei del presente. In altre parole, quando i dazi saranno definitivi il mondo – ossia le preferenze da parte delle popolazioni in fatto di consumi, le tecnologie, le produzioni – sarà lo stesso di prima con la sola differenza che, a cominciare dall’Europa, il successo economico sarà sempre più determinato dalla qualità reale dei beni e dei servizi e non dall’apparenza di prodotti firmati di vario genere ma con scarso valore aggiunto effettivo in termini scientifici e tecnologici. La Cina l’ha ampiamente capito e sta facendo di tutto per elevare la qualità dei suoi prodotti destinati all’esportazione. Trump altrettanto quando lascia intendere che sarebbe bello, per lui, se le aziende straniere, in special modo se tecnologicamente avanzate, si trasferissero negli Usa. Noi, cioè l’Europa, dovremmo capirlo in fretta a nostra volta traendo dai dazi stimolo e non depressione. Sia come Unione europea sia come Stati nazionali dovremmo dare sempre maggiore sostegno alla ricerca e all’innovazione perché il vero e onnipresente sovranismo, ormai, si misura su mercati, di cose, di idee e di progetti, di livello tellurico e di sempre più elevato contenuto intellettuale.

Aggiornato il 25 luglio 2025 alle ore 09:53