Putin il grande: La guerra di Vlad

Quindi, è certo: prima o poi Vladimir Putin abbevererà i suoi cavalli a Kiev. Da oggi, non ha più bisogno di mostrare al mondo e ai suoi cittadini la foglia di fico della “Operazione speciale” per denazificare l’Ucraina (sembra una freddura, ma non lo è!), convertita ormai in una vera e propria mission guerriera per “respingere l’aggressione della Nato”, che fa della prima versione un progetto aperto di una guerra senza fine per garantirsi la sopravvivenza. Ed è così che il reclutamento nell’esercito russo è divenuto un buon affare per chi accetta l’arruolamento, creando indubbi vantaggi per lo sviluppo delle regioni più povere da dove proviene la maggior parte delle nuove reclute. Questo perché, grazie alle generose politiche di indennizzazione per le famiglie dei caduti, un soldato vale più da morto che da vivo. E questa sorta di conversionemercenariadell’amor patrio permette al Cremlino di aggirare la coscrizione obbligatoria, politicamente insostenibile per il mantenimento del consenso popolare di cui attualmente gode il regime putiniano. Ma il problema del reclutamento è molto più sentito per gli ucraini, che non hanno quasi più truppe di riserva da inviare al fronte, per dare il cambio ai colleghi da mesi in prima linea, ben sapendo che per l’Ucraina una sconfitta significherebbe la sua fine come Nazione libera e indipendente.

E questo perché tutto ciò è “già” accaduto con gli oblast ucraini annessi nel 2022 alla Russia che, come prima cosa, ha provveduto a cancellarne attraverso una russificazione forzata ogni traccia di identità nazionale e di tradizione culturale. Tuttavia, per Kiev vi è un limite all’eroismo dei suoi soldati e alla tenacia di un popolo che non intende arrendersi, malgrado le gravi perdite e distruzioni finora subite, dovuto all’inferiorità numerica e alla scarsità degli armamenti disponibili. In merito, infatti, per i prossimi due/tre anni europei e americani non riusciranno a stare al passo e ai ritmi di produzione dell’industria bellica russa, soprattutto per quanto riguarda le forniture all’Ucraina di missili e proiettili di artiglieria, dovendo per di più fare attenzione a non sguarnire troppo le riserve dei propri arsenali nazionali. E malgrado gli immensi sforzi sostenuti dai russi con la loro economia di guerra, secondo le stime di Kiev, Mosca in più di tre anni di combattimenti avrebbe conquistato appena il 20 per cento del territorio ucraino. Anche perché, nel frattempo, è cresciuta notevolmente la produzione autoctona della difesa ucraina, divenendo una parte importante dell’industria militare di base europea nell’attuale processo di riarmo. Altro aspetto confortante è la fine più che prevista dell’idillio Trump-Putin che ha portato a un ripensamento americano sul congelamento delle forniture di armi a Kiev e alla promessa di inviare qualche altra unità di sistemi Patriot, tramite triangolazioni in ambito Nato.

In tal senso la Germania si è offerta di acquistare alcune unità antimissile di produzione americana, per “girarli” successivamente all’Ucraina sotto forma di aiuti per la difesa aerea. Semmai, il problema dell’Europa con Trump è di sapere se accetterà mai di collocarsi a fianco degli europei per inasprire le sanzioni a Mosca, ovvero se, al contrario, smetterà di interessarsi della questione ucraina per dedicarsi alle questioni che più gli stanno a cuore nella realizzazione del suo programma elettorale. Se così fosse, come molti ritengono probabile, l’Europa dovrà farsi carico di sostenere da sola l’Ucraina, dato che la sua sconfitta non può essere un’opzione per terminare la guerra. In questo caso, infatti, ai confini con l’Ungheria non si vivrebbero mai più giorni tranquilli, in presenza di una più che scontata attività di guerriglia da parte degli ucraini, alle quali Mosca risponderebbe con i suoi intollerabili metodi repressivi, come si è visto in Georgia e in Cecenia. L’Ucraina che continua a resistere, pertanto, è una buona notizia per il mondo libero, ma se Putin dovesse spuntarla la sua vittoria rappresenterebbe una minaccia costante per la sicurezza dell’Est Europa e provocherebbe una corsa al riarmo in quella regione. Il che sarebbe una buona notizia per le industrie degli armamenti, ma un pessimo affare per la Ue e la Nato, che potrebbe entrare in una severa crisi, a causa delle sue contraddizioni interne, fino a bloccarne il funzionamento, con buona pace delle autocrazie trionfanti nel resto del mondo e nello stesso Vecchio continente.

La caduta dell’Ucraina potrebbe solo aumentare l’instabilità globale, e Paesi come la Cina ne trarrebbero un enorme vantaggio strategico a causa dell’indebolimento dell’Occidente, per non parlare dell’Iran che tirerebbe un sospiro di sollievo, non sentendosi più nel mirino di Trump. L’America, per di più, perderebbe un’ulteriore quota di credibilità con i suoi alleati, mentre Putin nel frattempo rafforzerebbe tutte le sue alleanze internazionali, potendo riarmarsi in tutta tranquillità. Questa, e non altra, è la vera posta in gioco della guerra in Ucraina. Sappiamo quindi cosa rischiamo, perdendo la faccia.

Aggiornato il 17 luglio 2025 alle ore 10:09