
E dopo la tremenda “botta” dei B-2 americani su Fordow (che non hanno fatto, a quanto pare, una sola vittima), che cosa resta? L’Iran colmerà il “buco” aperto dalle superbombe antibunker di Donald Trump, o lascerà quelle ferite esposte per ricordare a se stesso che la prossima volta sarà ancora peggio? Ma anche per King Donald, o per chi allora sarà al suo posto, la seconda volta potrebbero essere America e Israele a doversi confrontare con evoluti sistemi antimissile russi o cinesi (Pechino e Mosca restano alleati dell’Iran e membri dei Brics+), che non renderanno la vita così facile né alle Forze di difesa israeliane, né all’Us Air Force. Per raffreddare la temperatura di quella sfortunata area del mondo, non resta quindi che ricercare accordi a lungo termine sul nucleare iraniano, partendo dall’attuale margine di vantaggio, e ben sapendo che nel medio periodo non si può sperare in un cambiamento dall’interno del regime teocratico che regna a Teheran. La forza dimostrata potrà servire a Trump per fare leva sui Paesi del Medio Oriente perché risolvano i loro problemi attraverso commerci e investimenti, rinunciando a farsi la guerra. Compresa Gaza, ovviamente, che ha disperatamente bisogno di vero benessere economico e di un sistema produttivo moderno, che crei autentici posti di lavoro, al di fuori dell’assistenza e della carità internazionali. Del resto, se i palestinesi sono così intraprendenti da prodursi in casa i missili con i quali tempestano il territorio israeliano, vuol dire che conoscono bene la meccanica fine!
Ecco, se davvero Trump riuscisse a pacificare quella regione tormentata del mondo, allora il nobel per la Pace dovrebbero essere gli arabi stessi a proporlo. Poi, detto per inciso, l’Amministrazione Usa (presidente, segretario alla Difesa, capo di Stato Maggiore e la comunità di intelligence) dovrebbero mettersi finalmente d’accordo per dirci con chiarezza a che punto è lo smantellamento del programma nucleare iraniano, e quali danni effettivi abbiano riportato gli impianti di arricchimento dell’uranio, a seguito dei recenti bombardamenti israelo-americani. Tuttavia, senza accordi con gli ayatollah, non c’è verso di impedire loro di divenire una potenza nucleare, dato che come è stato da tutti notato non si può lontanamente immaginare un genocidio di know-how, sopprimendo tutta la materia grigia iraniana, in grado di costruire l’agognata bomba voluta dagli Stranamore con mantello e turbante. Ma, a voi sembra meno strano e inaffidabile il dittatore nord-coreano, con cui anche il Trump prima versione è stato costretto a venire a patti, non volendo rischiare anzitempo uno scontro armato con il suo protettore cinese? Intanto, bisognerebbe ricordare a quegli smemorati padroni di Teheran che la loro ossessione di costruire l’atomica in funzione di deterrenza dall’aggressione israeliana, ha provocato esattamente l’avverasi di quest’ultima!
E tutto ciò, malgrado che il regime sciita, come da tutti gli analisti è stato fatto osservare, abbia dilapidato in decenni centinaia di miliardi del popolo iraniano per la costruzione dei siti bunkerizzati di arricchimento dell’uranio, e per il mantenimento e sviluppo del famoso “cerchio di fuoco” per bruciare nella Geenna l’entità sionista. Così, l’Asse della Resistenza, costituito dalle milizie proxy, palestinesi, libanesi e yemenite, ha assorbito nel tempo immense risorse per armamenti, stipendi, pensioni e assistenza ai miliziani e alle loro famiglie dei “martiri”. Salvo poi a rendersi conto di non aver provveduto a dotarsi di difese antiaeree e di rifugi interrati per la popolazione iraniana inurbata, finita sotto i bombardanti israeliani senza alcun preavviso di sorta. L’aviazione di Tel Aviv, infatti, dopo aver demolito tutto quello che ha potuto (postazioni radar, depositi di armi, rampe di lancio, fabbriche di armamenti e di droni) ha colpito senza trovare la minima resistenza tutti i palazzi residenziali dove era alloggiata l’élite politico-militare del regime. Però, dopo il sonoro ceffone ricevuto dal duo Trump-Bibi Netanyahu, anche i preti guerrieri di Teheran si trovano di fronte a un bivio. Per cui debbono scegliere se reagire all’umiliazione intensificando i propri sforzi per costruire la bomba, rischiando però di essere di nuovo scoperti (a quanto pare, il Mossad ha più agenti in Iran che effettivi in giro per il mondo!) e, quindi, di dover subire una nuova rappresaglia israelo-americana, ben sapendo che né Mosca, né Pechino, né i Brics+ rischieranno un solo soldato per la loro difesa.
Ovvero, in alternativa, pasdaran ed esercito prenderanno atto dell’inutilità di condurre una battaglia rivoluzionaria che non potranno mai vincere, per annientare sia l’entità sionista (gli ebrei per millenni hanno tranquillamente convissuto con i persiani!) che il suo alleato, il Grande Satana americano, frutto quest’ultimo di pura, demagogica propaganda fondamentalista per mantenere salda l’unità interna del regime. Se la scelta della dirigenza iraniana cadesse su di un’intesa pacifica, al fine di assicurare benessere e prosperità alla Nazione iraniana, allora l’Occidente dovrebbe farsi trovare pronto a collaborare. Qualsiasi accordo di compromesso, tuttavia, non può prescindere dall’obbligo per l’Iran di consegnare a un’authority di garanzia le notevoli quantità di uranio arricchito di cui oggi dispone, accettando nuovi accordi internazionali per l’ispezione dei funzionari dell’Aiea. Se davvero Teheran volesse dotarsi elusivamente di centrali nucleari per uso civile, allora dovrebbe entrare in un consorzio“offshore” di Paesi terzi, in modo da garantire che i livelli di arricchimento non superino i limiti previsti per gli usi civili. Tutto ciò, in cambio del ritiro parziale delle sanzioni europee e americane, che gravano molto negativamente sull’economia iraniana.
Tuttavia questo scenario idilliaco deve fare i conti sia con la diffidenza iraniana nei confronti delle autorità internazionali di controllo sul nucleare, che potrebbe favorire attività segrete di arricchimento; sia con il principio ormai consolidato nelle leadership israeliane, per cui la pace si ottiene con la forza. E questa nuova configurazione, per la difesa “continua” e preventiva di Israele, lo si vede dalla tendenza del Governo Netanyahu di colpire obiettivi siriani e libanesi, non appena si profili una nuova minaccia (lanci di missili, passaggio di armi e miliziani alle frontiere). In tale ottica dell’attacco difensivo e preventivo a tutto campo, si registra anche la posizione dell’estrema destra israeliana per l’annessione di Gaza e della Cisgiordania, anche se la Storia insegna che, senza un pieno diritto di cittadinanza esteso alle popolazioni dei territori occupati, non vi potrà che essere nuovo caos e atti di terrorismo e di ribellione. Ma qui Trump ha carte decisive da giocare: essere un Presidente atomico, significherà per lui svolgere il ruolo di pacificatore all’interno delle logiche di deterrenza del potere nucleare stesso. Perché, in fondo, con la sua trovata della “tregua subito”, dopo il blitz su Fordow, tutti possano dire (come accade nel dopo elezioni in Italia) che hanno vinto: in Iran il potere degli ayatollah è ancora in piedi, mentre Trump, dopo aver tirato il sasso, può nascondere agevolmente la mano che ha colpito, evitando una vera e propria guerra, che avrebbe pregiudicato le sue promesse elettorali e la sicurezza internazionale. Netanyahu, infine, ha vinto la sua partita drammatica in Medio Oriente, spegnendo il Cerchio di fuoco costruito in decenni dall’Iran e dai suoi proxy. Ora, la mano passa a Teheran, e speriamo bene!
Aggiornato il 11 luglio 2025 alle ore 09:57