Disarmare l’Iran per armare le sue piazze

Riusciranno infine a disarmare Teheran, i due moderni Dioscuri di Benjamin Netanyahu e Donald Trump il trickster? In base agli studi etnografici, quest’ultima attribuzione deriva da una figura mitologica (di natura maschile o femminile), che può rappresentare un animale antropomorfo o uno spirito, e spesso funge da catalizzatore di cambiamento e caos. Il trickster, ricorrente in molte culture precolombiane, è caratterizzato da astuzia, inganno e comportamento spesso amorale, che sfida le regole sociali e destabilizza l’ordine stabilito. Perfetto per King Donald, non vi pare? Prima di inoltrarci nel cuore del problema creato al resto del mondo dai preti iraniani, sarà opportuno approfondire un certo concetto assai delicato di geopolitica, che ruota attorno al nuovissimo global game tra Cina, India, Russia e Usa, che definiremo collettivamente “Cirus”, con il nome di quel grande condottiero che sta nel cuore dei persiani e del mondo ebraico della Bibbia. Creiamo idealmente a tal fine una sorta di retinatura del Globo, per analizzare la mappa degli interessi (sempre dinamica e provvisoria) che configura la costellazione Cirus, tracciando i suoi nodi e le relazioni tra di essi come ideali linee di collegamento. Il ragionamento che si intende produrre è di natura ergodico-energetica, per cui ogni linea ideale che si diparte da ciascun singolo nodo ha un costo, associato a uno o più vantaggi economico-politici.

Ciascun “vantaggio” ha poi evidentemente associato un suo peso specifico, che gli viene discrezionalmente assegnato dal decisore responsabile pro tempore (Xi Jinping, Narendra Modi, Vladimir Putin, Trump). Il tycoon, ad esempio, vuole il decoupling dalla Cina per riportare a casa le sue manifatture di punta delocalizzate in Asia; mentre per Putin l’economia conta molto meno della riconquista imperialista, per la riunificazione della grande Madre Russia. Poiché sono determinanti nell’equilibrio mondiale i pesi che più influenzano il baricentro, la condotta del decisore può cambiare gli scenari togliendo di sua sponte pesi leggeri e ininfluenti a suo giudizio, per riconvertire in risorse interne tutti i risparmi energetici così acquisiti. Il prototipo in tal senso è Trump, che ritira varie forme di assistenza militare, economica, numerica e umanitaria ai suoi alleati pro tempore, da sacrificare o indebolire. Se una potenza rinuncia l’altra può subentrare: il decisore rinunciatario deve però correttamente valutare il danno presunto causato a se stesso dalla sua rinuncia, anche in funzione dell’onere che il suo concorrente si assume, sapendo che per quest’ultimo i costi e i vantaggi “non” avranno la stessa configurazione dei suoi.

Esempio: nella R&B Initiative (le nuove Vie della seta) la Cina non regala capitali, ma fa gravare sui suoi beneficiari obblighi di ogni tipo, invitandoli a sottoscrivere contratti onerosi che, in cambio dell’assistenza cinese, prevedono contropartite politiche; oneri di vassallaggio; concessioni per lo sfruttamento di materie prime; cessioni di territori; acquisizione di varie forme di servitù e così via elencando. Nel world game Cirus vince (pro tempore) il decisore che calcola meglio l’impiego delle proprie risorse finite, come ha fatto Trump barattando il suo aiuto militare con i giacimenti di terre rare ucraini. Vince anche se Putin si guarda bene dal concedergli la tregua, e il tycoon non insiste più di tanto in merito perché, nelle linee che collegano Mosca a Washington, l’alleanza e le immense risorse naturali della Russia pesano per lui ben di più dell’indipendenza di Kiev.

Ora, esaurita questa indispensabile premessa, occorre capire bene per i protagonisti di Cirus dove si colloca esattamente l’Iran nella mappa globale dei loro interessi attuali: è davvero Teheran un’alleato indispensabile di Cina e Russia, con Pechino che risparmia buona parte della sua spesa energetica, acquistando imponenti volumi di idrocarburi dall’Iran? E come finirà quando il Celeste impero avrà completato di qui a non più di un decennio la sua transizione green, divenendo leader mondiale dell’elettrico e delle energie alternative, compreso il nucleare pulito? E Putin stesso, che oggi piazza all’Iran la sua produzione obsoleta di aerei da caccia e sistemi antimissile, per acquisire i brevetti e avviare la produzione in Russia dei droni iraniani, che cosa farà, una volta terminata la sua infinibile guerra in Ucraina? Davvero rischierà i suoi boots-on-the-ground per difendere le ambizioni nucleari di Teheran contro la determinazione a impedirglielo da parte di Usa e Israele? E Trump e i presidenti americani dopo di lui quanto ci metteranno a mettersi d’accordo con Cina e Russia per togliere di mezzo gli ayatollah e pacificare finalmente il Medio Oriente, che come oggi è messo può solo comportare per tutti guai a ripetizione e a non finire? Questo in sintesi il grande gioco in cui l’Iran svolge la parte del pedone sacrificabile in ogni momento della partita geopolitica di Cirus.

La speranza segreta di tutti i suoi membri è, però, che il regime degli ayatollah si dissolva da solo: prova ne sia la loro inerzia fattuale, al netto di caute dichiarazioni verbali, dopo l’exploit trumpiano dell’invio nottetempo dei B-2 a bombardare in territorio iraniano. Ma di certo non aiuta il drammatico giro di vite impresso dal regime di Teheran nei confronti dei propri cittadini, la cui libertà di movimento trova severi limiti nella miriade di checkpoint collocati all’interno di molte città, per filtrare chi entra e chi esce, e creare così un regime di terrore, rendendo praticamente impossibile per l’opposizione organizzare qualsiasi forma di protesta, anche a seguito dell’oscuramento della rete da parte delle autorità di Teheran. Ora, sempre nell’ottica del world game suddetto, davvero gli Stati Uniti intendono restare silenti e neutrali nella loro diplomazia geopolitica, lasciando soli tutti coloro che vorrebbero liberarsi dall’oppressione del regime oscurantista degli ayatollah? Da parte di Washington (e viste le difficoltà attuali di Putin, che sogna un disimpegno americano sull’Ucraina) non sarebbe meglio fin da ora imporre severi limiti all’eventuale dialogo con l’Iran, ponendo come condizioni preliminari e non trattabili l’immediata cessazione degli arresti e delle condanne arbitrari; la trasparenza sui luoghi di detenzione delle persone arrestate, come i detenuti e i prigionieri politici; la moratoria delle esecuzioni e l’impegno del regime a garantire agli accusati un giusto processo e la difesa legale?

Se invece si perderà anche questa occasione di condizionare il regime degli ayatollah, non sarà solo l’Occidente (diviso) a rimetterci nel gioco di Cirus, perché a perdere e a pagarne tutti i costi presenti e futuri saranno le giovani generazioni iraniane di oggi e di domani. E Tu, Europa, come al solito non hai nulla da dire e, soprattutto, da fare?

Aggiornato il 09 luglio 2025 alle ore 09:42