Droni d’Africa: cambio di paradigma

Come cambiano le guerre nel mondo? Il conflitto russo-ucraino ha rappresentato un vero e proprio stravolgimento di paradigma, per cui il più debole può benissimo battere il più forte, come in certi giochi di carte, in cui nessuno può essere certo di avere in mano il punto vincente. Il contagio di questo continuo ribaltamento di fronte tra vinti e vincitori, sempre pro tempore a questo punto, si è esteso a un continente gigantesco, come quello africano in cui, a quanto pare, le guerre etnico-tribali non hanno mai fine. Non più, ormai, scorribande a cavallo come tanti cavalieri medioevali per terrorizzare donne e bimbi innocenti, e saccheggiare i poveri villaggi africani. Oggi, per capirci, le bande di ribelli sudanesi della Rsf (Rapid Suport forces) hanno scoperto la moderna tecnologia dei droni per avere la meglio sull’esercito regolare. Dandone una dimostrazione pratica nell’aprile 2023, quando hanno assaltato a distanza Port Sudan, un avamposto fortificato dell’esercito situato lungo la costa del Mar Rosso, procurando proprio grazie all’uso dei droni seri danni all’unico aeroporto funzionante e alla più importante centrale elettrica. Ovviamente, oltre alle distruzioni materiali causate dalle esplosioni, l’attacco ha minato il morale delle truppe regolari che si ritenevano al sicuro all’interno della roccaforte di Port Sudan, distante un migliaio di chilometri dalle basi dei ribelli. E questo non è che un esempio di come la tecnologia dei droni stia stravolgendo il carattere dei conflitti in Africa, in considerazione del fatto che fino a poco tempo fa le guerre sul continente venivano combattute sul terreno, con fanteria leggera e poco numerosa.

Nessuno dei contendenti, sia i miliziani che i regolari di allora, disponeva di un’arma aerea e di un’aviazione, a causa degli alti costi necessari per il mantenimento e l’equipaggiamento dei velivoli. Invece, la tecnologia dei droni, a basso costo e facile da dislocare, con un mercato potenziale immenso di modelli e di produttori, si è dimostrata particolarmente efficace e letale, garantendo spesso a uno dei contendenti un vantaggio decisivo nei conflitti armati locali. L’altra faccia della medaglia, però, è rappresentata dal fatto che le guerre sul continente nero sono facili da iniziare, ma molto più difficili da terminare. Molti governi africani hanno sposato la tecnica bellica dei droni a partire dal 2023, facendo registrare nel 2024 qualcosa come 484 attacchi all’interno di 13 Stati africani, che hanno fatto almeno 1200 vittime. Diversamente dai droni Fpv (First person view, in cui l’operatore ha il controllo visuale dell’apparecchio) impiegati in Ucraina, quelli utilizzati dalle forze africane (denominati “Male”, Medium-altitude long-endurance) volano a medie altitudini e più a lungo, trasportando cariche esplosive più pesanti. Il più noto tra i Male è il turco Bayraktar Tb2, dal costo unitario di 5 milioni di dollari, mentre altre versioni più economiche sono vendute da Emirati Arabi, Cina e India. Se nel confronto armato russo-ucraino l’ubiquità dei droni ha dato luogo a una guerra d’attrito, in una corsa al superamento delle difese reciproche, sul modello “cat-and-mouse”, in Africa invece accade (per ora) che uno dei contendenti abbia la meglio sull’altro grazie proprio alla nuova tecnologia. Una chiara avvisaglia la si è avuta nell’estate del 2021, quando le forze ribelli tigrine del nord Etiopia sono arrivate alle porte della capitale, Addis Abeba, nel tentativo di rovesciare il governo in carica che, nel frattempo aveva tempestivamente provveduto a dotarsi di un vasto arsenale di droni, forniti da Turchia, Iran ed Emirati.

Così, le forze governative non hanno esitato un attimo a impiegare la loro flotta contro le basi logistiche e i contingenti delle truppe tigrine, rovesciando le sorti dell’assedio e costringendo i ribelli a ritirarsi, decimati e imponenti di fronte alla tempesta di fuoco scatenata dall’alto dai droni. Lo stravolgimento di forze lo si era già visto all’opera anche nel caso sudanese, precedentemente all’episodio di Port Sudan, quando nel marzo 2023 le Saf (Sudanese Armed Forces) hanno utilizzato droni per colpire le linee di rifornimento dell’Rsf e riconquistare la Capitale Khartoum. Ed è sempre grazie ai droni che, nel 2023, la giunta militare del Mali ha ripreso il controllo di Kidal, mettendo in fuga i separatisti Tuareg che la controllavano da più di dieci anni. Tuttavia, non sempre l’utilizzo dei droni è sufficiente a garantire il successo di un’azione militare, dato che, sempre in uno dei casi citati, le Saf per riprendersi Khartoum hanno dovuto combattere per mesi porta a porta per avere ragione delle formazioni ribelli, anche se comunque i droni hanno dato loro un consistente vantaggio nell’acquisizione di dati d’intelligence. Ovviamente, la tecnologia relativa non è di particolare aiuto quando le formazioni nemiche si muovono tra le montagne e le foreste pluviali, o si fanno scudo della popolazione civile, com’è accaduto all’esercito etiope quando ha dovuto inseguire i ribelli nella regione montagnosa di Amhara. Idem in Mali, Niger e Burkina Faso, dove i droni fanno fatica a coprire le grandi distanze coinvolte nelle campagne belliche del Sahel. Lì i ribelli jihadisti hanno continuato ad avanzare adattandosi rapidamente alle nuove tecniche di combattimento, rinunciando ai pick-up, troppo esposti all’attacco dall’alto dei droni, per inforcare le moto da cross (gli ucraini hanno messo su interi reparti moto montati per lo stesso motivo!), molto più difficili da intercettare e più veloci nel disimpegnarsi dai teatri d’azione.

Ulteriore esempio: nell’Est del Congo, le temibili milizie dell’M23, sostenute dal Ruanda, hanno fatto ricorso ad apparecchiature di disturbo elettronico (Ew) per vanificare il controllo con i droni delle truppe di peacekeeping dell’Onu, in modo da muoversi liberamente sul terreno. La cosa più importante di queste nuove guerre tecnologiche del XXI secolo è rappresentata dalla facilità con cui tutti i contendenti possono dotarsi di flotte di droni, facili da trasportare, economici e disponibili in abbondanza per tutti gli usi possibili. Ancora una citazione: nel giugno di quest’anno, i ribelli Tuareg del Nord del Mali hanno utilizzato droni del tipo Fvd, come quelli impiegati in Ucraina, per annientare un convoglio di mercenari russi che percorreva il deserto. In generale, la proliferazione di questi temibili strumenti offre ai Governi (non solo africani) un modo assai economico per tenere a bada le formazioni ribelli, senza dover subire gravi perdite. Il che, però, ha il suo bel rovescio della medaglia, dato che non favorisce possibili compromessi né in merito al cessate il fuoco, né per porre fine alle ostilità. Per di più, gli arsenali di droni privilegiano gli attori non statali e rendono più facile per le potenze straniere sostenere i propri proxy africani. Con il risultato negativo del moltiplicarsi sul continente di guerre che non finiscono mai. Ma che cosa accadrà quando gruppi ribelli e truppe governative disporranno di “droni intelligenti”, del tipo di quelli già sviluppati dall’Ucraina con droni-madre recuperabili (il cui raggio di azione è di centinaia di miglia, per un costo unitario di qualche migliaio di euro) che trasportano altri droni-figli insensibili ai disturbi elettronici, in grado di scegliere autonomamente i loro bersagli grazie all’Ai, senza alcun bisogno dell’intervento remoto di operatori umani? Povera (dis)umanità!

Aggiornato il 27 giugno 2025 alle ore 13:05